martedì 26 gennaio 2016

Alex Triulzi: la F3, la S4, Renato Molinari e altri aneddoti

Alex Triulzi, meccanico, è uno di quei personaggi fondamentali per il motorsport. Oltre a chi mette la faccia (i piloti, i team manager) e i soldi (gli sponsor), ci sono tanti lavoratori che costituiscono la struttura di questo mondo. Commissari di pista, organizzatori, giornalisti, strateghi e, appunto, meccanici. Meccanici che si sporcano le mani da sempre, e che un tempo probabilmente contavano più di ora. Il motorsport attuale è un fatto anche di aerodinamica e di elettronica, componenti in precedenza snobbate o inesistenti.


Alex Triulzi nel 1983

Dicevamo di Alex. Abita a Lamone, vicino a Lugano, ma è italiano a tutti gli effetti. Questo ragazzo (perché anche a 56 anni dimostra un invidiabile entusiasmo) lavora nell'universo dei motori dal 1979, e ancora oggi frequenta le piste dispensando esperienza tecnica. Grazie a lui ho intrapreso un viaggio indietro nel tempo, con i suoi racconti che si intrecciano con molte personalità di spicco del nostro motorsport.

"Ho cominciato a lavorare nell'automobilismo tra la fine del 1979 e l'inizio dell'anno successivo, quasi per caso. Prima mi divertivo a montare e smontare le moto a casa mia, fino a che non è arrivata l'opportunità di lavorare per la BSA di Ido Bischeri e Franco Alloni. In questa azienda, che lavorava per Abarth, Alfa Romeo, Lancia, Cosworth, Zakspeed e tantissimi altri, cominciai costruendo alberi a motore e alberi a camme. Ben presto, grazie anche al collega Franco Gaffuri, imparai a lavorare sui motori in tutta la loro complessità".

Alex Triulzi oggi


"Tra i primi motori da corsa ricordo i famosi Toyota/Alloni. Erano diversi dai Toyota Novamotor che andavano per la maggiore a quei tempi. Ottennero diversi buoni risultati anche senza le grandi risorse che appunto Novamotor aveva a disposizione. Poi vissi l'importante esperienza del lavoro sull'Hart di F2 usato tra gli altri da Alberto Colombo. Mi occupavo della revisione completa di quel motore, lavorando su pistoni, bronzine, fasce, valvole, testa... il rapporto con gli inglesi era buono e devo dire che il potenziale era grande. Tecnicamente era valido e al passo coi tempi, con il monoblocco in alluminio, canne riportate in Nikasil e l'iniezione meccanica Lucas. Quel motore di F2 fu usato poi come base per il turbo da 1500cc poi utilizzato anche in F1. Purtroppo la mancanza cronica di budget ne vietò lo sviluppo. Mi ricordo che avevamo il banco prova su una sorta di soppalco, e quando montavamo il nostro Brian Hart per rodarlo e tirarlo si sentiva un bel rumore..."

Qual è il progetto più strano al quale hai partecipato?
"Insieme a Massimo Brambilla, che definirei come l'uomo nato con il cannello in mano, realizzammo una Lola destinata a fare gare di velocità in salita. Il pilota era il romano residente a Barcellona Pietro Raddi, un tipo che non badava certo al portafoglio. La Lola era arrivata in officina con un motore BMW, ma noi montammo un motore 2 tempi di derivazione nautica. Era posto verticalmente e per "entrare" nel cambio Hewland classico c'era un rinvio di 90°. Vista la sua natura marina fummo costretti ad aggiungere tre radiatori, uno davanti e due di fianco. L'idea era buona, perché con questa propulsione poteva sfruttare una coppia niente male e avere un po' di allungo, doti ideali per le gare in salita. Erano 300 cavalli di pura mostruosità. Quando andammo all'esterno a provarlo, il rumore fu così forte da attirare i carabinieri... Infine, tanto per gradire, Pietro fece aggiungere sei espansioni agli scarichi dopo aver riportato la vettura in Spagna. Purtroppo questo prototipo ebbe vita breve, perché l'anno successivo i motori a 2 tempi furono messi al bando dalla Federazione spagnola".




Grazie all'accordo tra BSA e il gruppo Fiat hai contribuito alla realizzazione di alcune tra le vetture più competitive dei rally anni '80. Che tipo di lavoro era?
"Molte volte capitava di fare degli straordinari. Le esigenze delle corse non seguono gli orari normali di lavoro, come si sa. Le aziende legate alla Fiat avevano rigidi segmenti: c'erano le 8 ore di lavoro e poi a casa. Di conseguenza non potevano stare dietro all'agenda dei reparti corse. Durante questi straordinari spesso mi occupavo della Lancia S4, o meglio 038 per noi dell'ambiente. Oltre a costruire i suoi alberi motore alla BSA ci occupavamo anche delle revisioni. A parte volumetrico e turbo io revisionavo il resto del motore, con un'articolata scheda tecnica da rispettare. Ho fatto tante ore di lavoro in compagnia della 038 e per me è rimasta una macchina speciale. Mi è capitata anche la fortuna di andare a vedere al banco prova ufficiale il "mio" motore: esperienza fuori dal comune. Aggiungo inoltre che le persone che seguivano il programma Lancia con i rally erano supervalide, piene di idee e di passione. Inimitabili".

Lancia S4

La 037 e la 038, per alcuni l'apice dell'epoca Gruppo B...
"A proposito... Mi è capitato di rispondere su Facebook a certe assurdità riguardo alle auto da rally. Alcuni sostengono che le WRC oggi vanno più forte delle Gruppo B perché hanno più cavalli. Indubbiamente le prestazioni sono simili, ma le Gruppo B avevano più cavalli e meno elettronica, il che le rendeva delle belve. Ecco, diciamo così: le WRC sono umane, le Gruppo B disumane. Le WRC hanno molta elettronica che semplifica la vita; il cambio elettroattuato, il sequenziale, la centralina che gestisce meglio la potenza. Vanno forte non solo per la bravura dei piloti, ma perché la guida è più fluida, con meno assilli. Prima, invece, c'era il cambio ad H a cinque marce che funzionava solo ed esclusivamente se la temperatura dell'olio del cambio era tra i 40° e i 50°! Mi chiedo inoltre a che livello saremmo potuti arrivare senza la chiusura di quell'epoca. I prototipi in studio avrebbero raggiunto potenze ancora più incredibili".

Torniamo alle monoposto. Hai seguito altri progetti particolari nel mondo delle F3?
"Verso la fine degli anni '80 seguii Bischeri alla Montepilli, dove rimasi qualche anno. Nel 1989 intraprendemmo un progetto con buone potenzialità che purtroppo non ebbe fortuna. Avevamo messo in piedi un motore per la F3, un Honda 4 cilindri con 12 valvole anziché le 16 usate da Mugen. Non fu facile; prima di tutto c'è da dire che l'originale girava sinistro mentre noi l'abbiamo fatto destro. Poi redistribuimmo anche i pesi e ci affidammo alla nuova iniezione elettronica progettata dalla TDD. Insomma, il progetto era giovane e da sviluppare ma poteva essere vincente, dopo un primo anno acerbo in quanto a risultati con Alberto Trezzi e Andrea Filippini. Malgrado tutti gli sforzi l'avventura con questo motore si concluse definitivamente con la morte di Ido Bischeri, che era il faro dell'azienda".

Via, concludiamo il capitolo F3 con un altro aneddoto.
"Degli anni della F3 ho un ricordo bellissimo di un "mio" pilota, Nino Famà. Lui è un altro uomo che ha tirato fuori delle cose straordinarie partendo dal nulla. La sua passione per i motori non riguardava solo le auto, ma amava moltissimo il volo. E infatti non per niente ora costruisce elicotteri, esportando la sua bravura in tutto il mondo con il mitico modello KISS. Questo ragazzo andava forte e non era certo un tipo banale: ha vinto varie volte il campionato italiano di sidecar cross! Una volta lo scortai con la mia uno turbo verso il campo di volo di Modena, dove avrebbe provato un deltaplano. Mi chiese anche di salirci su, ma rifiutai..."



Passiamo alle barche, a questo punto. 
"Essendo curioso di natura non mi sono mai tirato indietro quando potevano esserci delle esperienze nuove su cui lavorare. Con Renato Molinari è andata così. Tra il 1992 e il 1993 lavorai sul suo primo catamarano con 2 motori Lamborghini, uno che girava destro e uno sinistro. Erano dei 12 cilindri da 8200 cc, giravano a 8500 giri con una potenza che sviluppava oltre 1000 cavalli. Quando lo portavamo nella nostra piccola sala prove era una cosa folle. Renato poi passò ai Seatek sviluppati da Romeo Ferraris e vinse qualche gara del campionato offshore. La prima volta che testammo la monocarena per l'offshore a Como provai addirittura l'esperienza di guidare quel bolide. Renato chiese: "Chi sa guidare?". Inizialmente io risposi di no, ma poi mi disse in rigoroso dialetto di salire su. Io ero al "timone" e lui alle manette. Come mi disse di fare, presi un punto sulla montagna da seguire e guidai questa barca da 13 metri che faceva voli incredibili al solo toccare una piccola onda... Da Como arrivammo a Lezzeno, dove Renato aveva il suo cantiere, in pochissimi minuti, con io che vedevo a malapena dove andavo! Guidare una barca è come andare sulle uova, e lui aveva un talento enorme nel farlo. Inoltre ha anche una gran cultura tecnica: le eliche delle barche le faceva lui a mano, con gradi e inclinazioni precise; non è una cosa da tutti i giorni. Infine devo dire che Renato è una persona schietta: se deve dirti che qualcosa non va, te lo dice immediatamente; al contempo però sa apprezzare le cose fatte bene".



Hai citato Romeo Ferraris. Hai lavorato anche con lui...
"Romeo Ferraris! Lo conobbi tramite Bischeri quando scoprimmo di avere un banco prova non più affidabile, un problema che potevamo risolvere solo andando da lui a Opera. Persona davvero squisita. Due parole con lui equivalgono due libri e per il motorsport italiano è ancora una grande risorsa. La sua apertura mentale in tutte le direzioni mi è sempre piaciuta, e infatti con Romeo si può parlare di donne, di motori, di aerei, di ecologia. Come del resto mi capita anche con il figlio Mario, cresciuto con ottimi valori e curioso per le novità come il padre. Hanno da sempre sperimentato cose nuove, sia con i motori - celebre un 1000 di cilindrata con 8 cilindri che tirava a 12000 giri - sia con l'evoluzione elettronica. La preparazione delle loro vetture è maniacale e anche gli ultimi progetti come il Cinquone e la Giulietta TCR sono di primissimo livello".

C'è un pilota recente - tra quelli con cui hai lavorato - che ti ha impressionato?
"Uno degli ultimi piloti con cui ho lavorato è il grande Aku Pellinen. Chiariamoci: se ribaltiamo lui, suo papà e sua mamma non vengono fuori nemmeno dieci franchi. Si tratta del classico finlandese freddo, che sta sulle sue fino a che non trova un ambiente nel quale poter dare confidenza. Con me l'ha trovata presto, essendo io un latino casinista e loquace! Penso che se avesse avuto qualche soldino in più sarebbe arrivato davvero in alto. In realtà Aku è solo l'ultimo grande talento che per un motivo o per l'altro non ha fatto la carriera che meritava".

Alex al lavoro sulla BMW di Ferraresi e del compianto Walter Meloni

Quali sono state le promesse mancate del motorsport italiano?
"Sicuramente Gianantonio Pacchioni, pilota straordinario al quale sono state tagliate le gambe alla grande. Secondo me coi kart se la giocava con tutti quei piloti che poi hanno vinto in F1, compreso Schumacher. Voglio dire, ha vinto due volte la gara di F3 a Montecarlo! Persona introversa ma che con la giusta confidenza dava tutto. Purtroppo per lui non sono arrivati né gli sponsor né gli appoggi giusti. Tra i grandi senza corone aggiungo Beppe Gabbiani, un vero fuoriclasse. Però era anche un matto, non si è mai saputo vendere e per questo motivo non ha mostrato tutto il suo valore".

Chi invece hai apprezzato maggiormente tra i grandi campioni degli ultimi decenni?
"Di quelli che invece hanno avuto successo ne scelgo due. Uno è Ayrton Senna, che vidi gareggiare con i kart a Parma. Era bravo in una maniera oscena, gli altri sembravano fermi. Il suo stile era pazzesco: Fullerton doveva rischiare in ogni curva per tenergli testa. L'altro è Mika Hakkinen. Arrivò a Imola - invitato - per una prova del campionato italiano di F3. Corse fuori classifica con la sua Reynard-Mugen ufficiale con i colori Marlboro. Non aveva mai visto la pista, eppure concluse in testa tutte le sessioni e vinse la gara con una vita di vantaggio. Molti nel paddock mugugnavano dicendo che aveva le gomme migliori, il motore diverso e questo e quest'altro. No, era semplicemente veloce. Tuttavia - mi ricorderò sempre questa scena - ai box si mise a rispondere punto per punto a un ingegnere indispettito che gli chiedeva, manco fosse in F1, di indicargli più precisamente cambiate, velocità e traiettorie. Già all'epoca si sapeva che sarebbe arrivato in alto e il suo miglioramento è stato incredibile".

Raccontami del tuo incontro con Mauro Forghieri...
"Bischeri mi disse, un giorno: "Vestiti bene, che andiamo a Modena". La nostra meta era la Lamborghini Engineering, dove stavano costruendo la F1 sotto le direttive del grande Mauro Forghieri. Arrivati là lui e Bischeri si misero a parlare, mentre io un po' imbarazzato facevo il fungo... Finché non mi tirarono in mezzo nelle faccende tecniche. Insieme ad altri ci occupavamo del manichino del motore Lambo, un lavoro certosino che assumeva molto importanza visto che il motore era semiportante. Il manichino serviva ovviamente a calcolare gli ingombri e da quanto riuscii a vedere la F1 di Forghieri era all'avanguardia per molte soluzioni. Tuttavia la Lamborghini non finanziò mai direttamente il progetto e anche la proprietaria dell'epoca (la Chrysler) non investì granché. Mi è rimasto però un bel ricordo di Forghieri, persona molto alla mano e competente".




Come lo vedi la F1 e, in generale, il motorsport odierno?
"La F1 di oggi è molto macchinosa. Il rischio di addormentarsi è alto... A ogni minimo contatto si va sotto investigazione, c'è questo obbligo di montare certe gomme che mortifica le strategie, c'è tutta questa elettronica che plafona le differenze. Poi guardo dieci giri della NASCAR... E mi convinco che hanno ragione loro. Dobbiamo tornare indietro per avere uno spettacolo più umano, dove si possano vedere le capacità dei singoli piloti. Torniamo indietro a quando si correva con meno carico aerodinamico, meno elettronica e meno team radio. Torniamo indietro a quando si poteva gareggiare senza spendere tutto quel denaro. Non è un discorso che riguarda solo la F1. Per me il vero spettacolo lo si vedeva al Lotteria di Monza. Le libere erano al giovedì, perchè con 50 F3 chiaramente si dovevano effettuare le prequalifiche. E i piloti? Una ciurma di assatanati tra i quali c'erano i piedi pesanti, i pensatori, i coraggiosi e anche i lenti e i pasticcioni. Ripeto, andiamo a imparare dagli americani".

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