mercoledì 14 settembre 2016

Intervista a Federico Scionti: Pronto alla rinascita

Sono stati anni sofferti, per Federico Scionti. Dal 2010 al 2015 il pilota romano è stato lontano dalle piste, lontano dal mondo che ama maggiormente. Non ne poteva più di stare a guardare le corse senza poter assaporare di nuovo la gioia di correre. Ora è tornato, e nella Mitjet Italian Series ha già fatto vedere che gli anni passati invano non hanno appannato la sua guida. E pure il futuro si prospetta più roseo, grazie anche a un deciso cambio di mentalità.



Il tuo ritorno ufficiale è stato nel 2015, ad Adria. Purtroppo non era andata, in quella occasione, come avevi sperato. Il primo weekend 2016 a base di corse è stato invece tutta un'altra storia, con un 3° e 4° posto assoluti (2° e 3° escludendo il francese Essart, "trasparente" ai fini della classifica) al Mugello sempre nella Mitjet Italian Series.
"È andata più che bene, direi benissimo. Sinceramente non mi aspettavo risultati così buoni in questa gara; non avevo fatto test, ho cominciato a provare solo al venerdì. Ma il feeling era buono. Così sono arrivate una magnifica pole position e poi questi due risultati veramente importantissimi, di buon auspicio per il mio progetto più a breve termine, cioè fare questo campionato full time nel 2017 puntando dritto al titolo".


Federico Scionti porta quest'anno il numero 76

Visti i risultati, sembra che tu abbia già preso confidenza con le Mitjet...
"Sono macchine davvero belle da vedere e divertenti da guidare. Il budget richiesto per la stagione è accessibile e in generale c'è una bella organizzazione. Sono molto soddisfatto di avere scelto questo campionato e penso che i ragazzi che escono dal mondo dei kart debbano farci un pensiero, visto che comunque nelle monoposto ci sono costi decisamente più alti con sbocchi professionali indubbiamente minori rispetto al panorama attuale a ruote coperte".


Primo da sinistra sul podio, Federico si può finalmente concedere il meritato bottiglione di Champagne

Sei stato fuori dalle corse per cinque anni. Non deve essere stato facile.
"É stato un periodo piuttosto lungo e pesante. Un incubo, quasi. Nessuno, al di là dei piloti, può capire cosa voglia dire essere malati di motorsport e non poter scendere in pista per tutto quel tempo. Nei primi tre anni dalla mia ultima stagione nelle formule (2010) non mi è mai arrivato nulla di concreto. La nascita della Mitjet Italian Series ha coinciso con la mia totale riattivazione verso un futuro nelle corse. Mi ha dato una spinta decisiva. Mi sono messo a cercare sponsor a testa bassa e soprattutto ho cercato di costruire un progetto professionale, appoggiandomi a persone e a sponsor di cui mi posso fidare, come Massimo Armetta (AS Sport Service) che mi ha aiutato nel 2015, Giorgia Farci che mi aiuta con la comunicazione, il mio compagno di squadra Riccardo Romagnoli e il Team Aelle Corse, oltre ai ragazzi di Meeb Energy Drink, Immobiliare Fortunia e VipEventi Communication. Autosprint, inoltre, mi ha dedicato lo spazio che del resto mi dava anche all'epoca delle formule; avere visibilità qui è fondamentale e mi rende felice".

La tua particolare storia, con questa lunga pausa e il ritorno attuale in una categoria del tutto nuova rispetto al passato, fa sorgere spontaneamente una domanda: qual è il momento nella tua carriera che ti inorgoglisce di più e quello di cui vai meno fiero?
"Gli eventi recentissimi sono stati fantastici. Nel periodo 2015/16 ci sono stati momenti di pilotaggio dove ho dato il 110%, oltre all'impegno che ho profuso a livello esterno per cercare di creare una mia immagine ben definita. Un conto è arrivare in pista con tutto già pronto, un altro è sudarsi tutto per mantenere quello che si è creato in modo serio come nel mio caso. Per quanto riguarda la parte negativa direi che in passato avevo un carattere decisamente più brusco e irruento, non tanto in pista, piuttosto fuori. Ci sono state occasioni in cui non ho dimostrato di essere sufficientemente lucido con i team, con gli ingegneri, e forse anche in famiglia. Ho riconosciuto questi errori e ora ho voltato decisamente pagina".




Ritorno alle corse e ritorno pure su Autosprint...


Non si può comunque dire che sei stato con le mani in mano, nel recente passato. Hai intrapreso un'attività di coaching...
"Questa è in effetti la mia seconda attività inerente al pilotaggio. Seguo ragazzi che gareggiano in kart e nelle formule, occupandomi di un po' tutti gli aspetti delle corse, dall'attività fisica a quella mentale passando dai consigli in pista. Il mio compito è sostanzialmente quello di aiutare i piloti a fare più velocemente, tramite la mia esperienza, un percorso formativo che sarà utile più avanti. Ogni pilota ha una propria visione del mondo delle corse, e devo dire che spesso entro subito in sintonia, riconoscendo alcune sensazioni che anch'io provai all'epoca".

...E poi hai corso anche virtualmente.
"Vero. Il mondo del virtuale l'ho scoperto sostanzialmente tramite gli amici di BioShock, un negozio di Frascati che si occupa anche di simulatori di guida. Ho partecipato ad alcuni campionati, divertendomi parecchio visto il grande livello di competizione. Ho sfidato anche gente come Stefano Gattuso e altri fortissimi videogiocatori che, pur non correndo nella vita reale, hanno dimostrato di saperci fare".

Com'è nata la tua passione per le corse?
"Andavo a vedere correre mio padre, fin da quando ero piccolo. Giravo l'Italia attraverso i vari circuiti, mi piaceva ma non avevo ancora il desiderio di correre. Quello è arrivato dopo i primi giri sul kart, a 11 anni. Sui kart ci sono in realtà stato poco, perché sono passato alle monoposto molto presto. E ora, sia per interesse personale sia per piacere puro, mi sono avvicinato al mondo delle Gran Turismo. Seguo assiduamente il GT Italiano, la Porsche Carrera Cup e la Supercup, il DTM, il Lamborghini Super Trofeo e talvolta anche la NASCAR europea, che in realtà ha ben poco da spartire con le altre categorie, pur se qualche punto d'incontro con la Mitjet ce l'ha".





Come lo vedi il mondo del motorsport attuale?
"Penso che la F1 e i gradini sotto, vale a dire GP2 e GP3, siano un po' fuori portata per la maggioranza dei piloti. Ci sono dei budget richiesti davvero sostenuti, e questo non fa bene né ai piloti né ai team, e neppure ai campionati a lungo termine. I giovani piloti, che hanno il sogno di arrivare in alto, non se ne rendono molto conto; posso dirlo perché anch'io ci sono passato. Solo con il passare del tempo ci si accorge di quanto sia complicato fare carriera e spendere budget adeguati in questo sport. Nelle GT i budget sono più contenuti ma in sostanza lo spettacolo è lo stesso o è pure meglio, basti vedere che griglie hanno nel Blancpain. Inoltre sono molto importanti la visibilità e la comunicazione, e in questo noi europei non siamo mai riusciti a battere gli americani. C'è davvero da imparare da quelli della NASCAR, che riempiono gli ovali di pubblico e che mettono la personalità e il valore dei piloti davanti a tutto, a differenza nostra".


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