venerdì 20 maggio 2016

Sharon Is Back: Episodio 2, Paul Ricard

Secondo appuntamento stagionale per Sharon Scolari (#177) nella Lotus Cup Europe, e seconda tappa del racconto della sua stagione. Questa volta parliamo del Paul Ricard, circuito della Provenza detto anche Le Castellet, dal nome della città che lo ospita. Sharon conquista tre piazzamenti e un podio, evitando di essere coinvolta in due incidenti e lottando al vertice della sua classe.




Secondo Round, Paul Ricard 14-15 Maggio 2016.

Gara 1 - 5° posto classe Open
Gara 2 - 4° posto classe Open
Gara 3 - 3° posto classe Open
Classifica assoluta - 27° (91 punti) - 4° classe Open

Un nuovo podio

È stato un weekend molto intenso. Tre gare ravvicinate, tre risultati utili e soprattutto un terzo posto, colto nell'ultima gara. Anche se devo dire che nonostante il risultato la corsa migliore è stata la seconda. Lì ho battagliato dall'inizio alla fine, cercando di essere aggressiva e contemporaneamente accorta allo stesso tempo, visto che l'unico punto in cui potevo avvantaggiarmi era nel tratto misto e nelle staccate. Rispetto ai miei avversari con le Exige pagavo un po' in velocità massima. Il mio avversario (Matt Bartlett), tenuto dietro per quasi tutta la gara, è riuscito con uno spunto finale ad anticiparmi sul traguardo per soli due decimi! È stata una piccola delusione, ma mi sono ripresa ampiamente nella gara successiva con il miglior risultato di giornata.




Le classi

Non è sempre evidente, in campionati come il mio, saper distinguere le differenze tra le varie classi. La classifica assoluta infatti non è il mio obiettivo principale, in quanto la mia Elise PB-R Cup ha meno cavalli rispetto alle Exige V6, alle Evora GT4, alle 2-eleven e pure rispetto alle vetture della classe Production. Al Paul Ricard il mio miglior giro in gara è stato in 1'45", mentre il migliore della classe 2-eleven ha girato sei secondi più veloce, tanto per far capire la differenza tecnica tra le vetture. Tuttavia, nonostante lo svantaggio in termini di potenza, sono competitiva rispetto ai miei avversari di classe e questo mi inorgoglisce. A volte capita di subire un doppiaggio da parte delle classi superiori, ma cerco di vedere il lato positivo, provando a seguire i leader, prendendo la loro scia e sfruttando la loro presenza per guadagnare sui miei avversari diretti. L'approccio in questi casi è uno solo: mantenere la concentrazione e avere riflessi pronti.




L'atmosfera

Stavolta c'erano 39mila spettatori e rispetto a Hockenheim c'era uno splendido sole! Tribune piene e appassionati molto calorosi, arrivati per il Grand-Prix de Camions, la prova del campionato francese drifting e ovviamente anche per noi. Le cartoline con gli autografi che avevamo preparato sono finite in un attimo... Si percepiva l'amore delle persone verso il circuito, un sentimento e una competenza che a mio parere s'ingigantisce nei luoghi ove la F1 ha corso in passato. Chissà cosa accadrà a Silverstone, gara di casa per le Lotus! Infine, ogni weekend la Lotus Cup organizza una festa a tema, e stavolta riguardava il Messico. Finalmente, dopo il weekend un po' al limite di Hockenheim, siamo riusciti a rilassarci e a goderci una serata conclusasi con i fuochi d'artificio.




I camion

Prima di tutto, devo dire che è stata una cosa stranissima fare il giro di formazione dietro a un safety... camion! Era veramente enorme e andava davvero pianissimo, ci abbiamo messo tantissimo a completare la tornata... Durante il weekend la gara principale era quella dei camion, e visto che l'organizzazione è stata perfetta da parte della Lotus e dell'autodromo, sono riuscita ad assistervi. Sono divertentissimi da vedere anche se non diresti mai che bestie del genere possano correre in circuito, però vale la pena. Anche se devo dire che non riuscirei a immaginarmi alla guida di un camion.

Il circuito

Nei primi giri delle prove libere è stato difficile, perché è un circuito con enormi spazi di fuga e pochissimi punti di riferimento. Anche in questo caso, come a Hockenheim, era la prima volta che mettevo "le ruote" su questa pista. Non ho un simulatore - e non penso di prenderne uno ora - e per studiare il tracciato mi sono preparata... su Youtube, guardando gli on-board camera. Mi sono comunque presa un po' di tempo per studiare le traiettorie, in un circuito che permette varie linee per via della sua larghezza. Chiaramente servirebbero più prove, ma sono soddisfatta dell'interpretazione che ho dato e delle linee che ho trovato. Per il resto è un altro luogo storico e pensare che ci hanno corso grandi campioni del passato mi ha nuovamente dato altri stimoli.




La famiglia

Mio padre e mia madre, insieme al mio meccanico, sono fondamentali per la buona riuscita di ogni weekend. Ognuno ha un compito preciso e il loro sostegno mi è di grande aiuto. Stavolta è arrivata anche mia sorella, quindi ho proprio vissuto bene tutto il fine settimana. Per altro invece di usare l'autostrada siamo arrivati e ripartiti facendo tutto il litorale, con dei panorami stupendi.



Saint-Raphaël

Verstappen

Complimenti a lui per la vittoria, ma devo dire che per me il baby boom è malsano per il motorsport. Per come la vedo io, l'approdo in F1 dovrebbe essere più graduale. In passato chi esordiva nella massima serie arrivava con una certa trafila nelle serie minori e una mentalità differente, forse più formata e matura. 

giovedì 12 maggio 2016

Intervista a Vittorio Zoboli: Eddie Jordan, la F1 e gli... sponsor mancati

È quasi arrivato a coronare il suo sogno, ma una manciata di dollari in meno lo ha fermato. Vittorio Zoboli, bolognese classe '68, è stato collaudatore della Jordan nel biennio '93-'94 ed è salito anche sulla Forti prima di passare alle GT, con una carriera nel motorsport che è stata più significativa di quanto non dicano le statistiche.



Da qualche anno Vittorio ha appeso il casco al chiodo e non è intenzionato a cambiare idea, anche se non gli dispiacerebbe ritornare - in altri ruoli - nell'ambiente che ha lo accompagnato per tantissimi anni. L'ultimo progetto a cui ha partecipato (fino al 2013) è stato con Lamborghini, in qualità di General Manager del Supertrofeo.



Tutto, comunque, era cominciato alla pista di Vado, a due passi da Bologna...
«Mio padre mi portò a vedere una gara di kart, avevo 10 o 11 anni. Mi venne una voglia incredibile di provarne uno anch'io... Una volta convinto lui, mi sono lanciato nelle corse in un periodo che poi si è rivelato straordinario per la presenza di tantissimi validi piloti: Sospiri, Morbidelli, Colciago, Giovanardi, Tamburini, Zanardi e ancora molti altri. Soprattutto con Sospiri mi ricordo tante battaglie al vertice. E mi ricordo che in una gara con i 100cc a Kerpen arrivai pure davanti a Michael Schumacher...»

Nel 1986 arrivò la vittoria nella F4 italiana.
«Ero nel team BLM e fu una bella stagione, una grande esperienza per tutti. Tuttavia l'anno precedente ci fu un episodio che - in un certo senso - rese ancora più felici i miei sponsor. All'autodromo di Imola il team fece salire sulla mia monoposto il giovanissimo Jacques Villeneuve, per un breve test. Una perfetta operazione di marketing che richiamò l'attenzione del mondo intero. La foto della mia macchina fu vista dappertutto...»

La F4 guidata nel 1986...

...E quella del 1985, con Jacques Villeneuve nell'abitacolo


Nel biennio '88-'89 corsi in F3.
«Era un bell'ambiente sia dentro sia fuori gli autodromi. Nel 1988 ero appunto esordiente con il team Cevenini ma riuscii a battere altri rookie come Schiattarella e Zanardi. Il titolo lo vinse Naspetti con la Forti, team con il quale ero riuscito ad accordarmi per la stagione successiva. Tuttavia fu una stagione deludente per me: io non mi sentivo a mio agio e il mio compagno di squadra Morbidelli, che poi vinse, aveva sicuramente più appoggio. Molti altri piloti, oltre a sfidarli in pista, li incontravo anche in caserma nella Bersaglieri Atleti. Sicuramente eravamo più legati tra di noi rispetto a quanto accade ai giorni nostri nelle categorie minori».

L'anno dopo ti sei trovato in Inghilterra, per correre la F3000 locale.
«Sì, un'esperienza davvero bella. A metà 1989 avevo conosciuto Enrico Zanarini; dopo pochissimo diventò il mio manager, e fu proprio lui a trovare i contatti e ad avere l'idea del passaggio oltremanica. Quella serie costava notevolmente meno dell'Internazionale ma credo che il livello non fosse minore. E inoltre notai la differenza di mentalità verso i piloti: là ti ascoltano sempre e hanno una grande considerazione. La stagione fu ottima, andai forte e conclusi il campionato al 5° posto. Enrico gestiva anche Naspetti e Irvine, che correvano già per Eddie Jordan nell'Internazionale, mentre io correvo per la GA Motorsport; ma in sostanza ero comunque sotto l'ala protettiva di Jordan. E non solo: io, Emanuele e Irvine vivevamo in un appartamento di Jordan a Oxford e in quell'anno fu un delirio. Spesso scendevamo a Londra, e andavamo per locali fino a tardi, prendendoci una libertà che a Oxford non ci saremmo potuti permettere visto l'atteggiamento locale da "coprifuoco". Ovviamente confermo tutto quanto si è detto di Irvine sulle sue conquiste...»




Che tipo è Eddie Jordan?
«Bèh, lui è stato sempre molto gentile con me e mi ha trattato molto bene. Gli piace scherzare e aveva un ottimo feeling con tutti i componenti del team finché è stato nelle sue mani. Grande personaggio e anche geniale negli affari, perché è riuscito a vincere partendo da zero. Purtroppo, quando giunse il momento di sostituire Eddie Irvine nel 1994 (dopo che si fece squalificare per tre gran premi), non si concretizzò nulla per me perché Jordan all'epoca aveva bisogno di piloti con più budget. Il mio si era notevolmente ridotto dopo il 1992 per via di Tangentopoli. Alcuni dei miei sponsor furono direttamente coinvolti e chiaramente chiusero i rubinetti appena ci furono le prime indagini e i primi arresti. Fu un brutto momento per il mancato esordio, ma devo dire che capisco anche il punto di vista di Eddie, che doveva far andare avanti il team».




Nel 1993, tuo primo anno come collaudatore Jordan, tentasti nuovamente l'avventura nella F3000 Internazionale (dopo un 1992 a metà classifica) con il team Il Barone Rampante.
«Anche in quel caso, tutto finì molto malamente. Io corsi solo 3 gare, poi a Spa sequestrarono il team e tornammo a casa. Pesarono ancora le conseguenze di Tangentopoli. Non ho un buon rapporto con quella storia...»

Cosa ti rimane della tua carriera da collaudatore in F1?
«Ho provato la Jordan e la Forti, ma devo dire che la Jordan aveva una marcia in più. La Forti ogni due giri si fermava e non c'era verso di farla correre, soprattutto per via del gap tecnico rispetto agli altri.. Oltre al Motorshow, che è stata la manifestazione celebre a cui ho partecipato, ho collaudato la Jordan soprattutto in Inghilterra. Le due vetture del '93 e del '94 erano fantastiche. Di loro mi stupì soprattutto l'impianto frenante, che era impressionante. Mi ricordo che al primo colpo di pedale andai a sbattere contro il rollbar da tanto era stata violenta la decelerazione. Rispetto al '93, quando avevamo aiuti elettronici grazie ai quali potevamo dosare l'accelerazione, nel '94 la vettura era certamente più instabile. Infatti in quell'anno, oltre agli incidenti di Senna e Ratzenberger, in tantissimi si fecero male. Era il segno che qualcosa non era andato per il verso giusto dal punto di vista regolamentare».





Poi sei passato alle Gran Turismo...
«Ho corso inizialmente con la F40 del Jolly Club, insieme a Luca Drudi, nel Global GT Championship. La F40 era una macchina bellissima, ma dal punto di vista dello stile di guida ci misi un po' a ingranare dopo anni di monoposto. In seguito ho corso nel FIA GT con la 550 Maranello e con il primo trofeo Lamborghini - c'erano le Diablo - organizzato da Stephane Ratel. Mi dispiace non aver portato a termine il mio tentativo alla 24 Ore di Spa 2002, corsa alla quale mi ero iscritto con David Halliday, Philippe Alliot e Francois Jakubowski. Si ruppe la trasmissione, in effetti. Ma mi ricorderò sempre della bellezza della colorazione della macchina, blu Gauloises con inserti argentati».




Per quale motivo avevi scelto le vetture GT?
«In realtà non scelsi io, ma... gli sponsor. Quelli che avevo all'epoca mi avevano chiesto la presenza in quel tipo di campionato, con in un certo senso l'obbligo a scegliere una vettura italiana. Insomma, l'obiettivo era di accomunare a livello di marketing i diversi marchi italiani, ma ciò mi precluse altre scelte. Della Porsche non volevano nemmeno sentirne parlare, per dire.... E poi non mi sarebbe dispiaciuto partecipare a qualche campionato turismo, ma all'epoca quelli erano i vincoli che avevo accettato e va bene così. Ora non ho più voglia di rimettermi a correre...»

Hai corso insieme a tanti altri forti piloti; quale ti ha impressionato di più?
«Vincenzo Sospiri secondo me era uno che poteva arrivare in alto. Aveva qualcosa in più e nella sua carriera è stato certamente sfortunato. Poi non saprei in realtà dirti qualcuno che si stagliava sopra gli altri. In F1 andavano avanti gli stranieri perché avevano più budget. Barrichello ad esempio era pieno di soldi... E altri sono arrivati nonostante a inizio carriera fossero fermi, come ad esempio Frentzen».

venerdì 6 maggio 2016

Intervista a Beppe Donazzan: Una vita sui campi di gara

Ayrton Senna: la vita in quattro giorni, di Beppe Donazzan, è stato uno dei primi libri sull'automobilismo che ho letto. Uscì nel 1998 e mi avvicinò alla figura del grande campione brasiliano, che avevo visto correre solamente durante la mia infanzia. Il mio primo vero ricordo legato alla F1, quindi non dipendente dal racconto di altri, è relativo al GP del Sudafrica del 1993. Per cui non ho vissuto dal vivo molte delle gesta di Ayrton Senna.


Beppe Donazzan con Ayrton Senna

Beppe Donazzan, invece, è un testimone diretto di quel periodo e di altre straordinarie storie. Ha scritto libri su Michael Schumacher, sulla storia dell'Aprilia, su Miki Biasion, sulla Dakar, sui rally e sul San Martino. Ha vissuto come cronista eventi sportivi leggendari, come l'avventura del Moro in Coppa America, le Olimpiadi Invernali, il Giro d'Italia di ciclismo, e pure eventi di cronaca nazionale - l'epoca delle Brigate Rosse, la strage di Bologna.
"Ho iniziato come fotografo, a Bassano. Ero un giovane appassionato, leggevo Autosprint e seguivo i rally. Negli anni sessanta il Veneto era una zona straordinaria per chi amava queste corse. Grazie a una lettera scritta a mano i fratelli Piccinini della ActualFoto di Bologna mi assunsero per fare le fotografie di gare come la Bassano Monte Grappa e la Trento-Bondone. Tutto è partito da lì, visto che in seguito ho cominciato a scrivere articoli su queste e altre corse, finendo per collaborare con Autosprint, con il Gazzettino e con svariate altre testate. Nella mia carriera di corrispondente ho potuto vivere da vicino sia i fatti di cronaca sia grandi manifestazioni sportive, e questo spaziare tra temi così differenti mi ha permesso di ampliare la mia visione del mondo e di provare grandissime emozioni".

Il primo libro su Senna, uscito nel 1998, toccò immediatamente gli animi degli appassionati.
"Senna arrivò a Padova per presentare la linea di biciclette della Carraro con il suo nome. La fondazione per i bambini poveri brasiliani avrebbe ricevuto le royalties per le vendite di quelle bici, e Senna era felice di aver raggiunto tale accordo. Era giovedì 28 aprile, e allo Sheraton ci fu la conferenza stampa alla quale partecipai nel ruolo di moderatore. Conoscevo già bene Ayrton e talvolta ci eravamo incontrati proprio in Veneto per via dei suoi sponsor locali come Segafredo e De Longhi. Alla conferenza parlammo della sua passione per i pedali, a partire dalla sua biciclettina gialla. Alla fine, insieme a Carlo Grandini del Corriere, riuscimmo a intervistarlo sul campionato di allora, che lo vedeva in ritardo rispetto a Schumacher e alla guida di una vettura che non era più il missile tecnologico dell'anno precedente. Rispose alle nostre domande con immensa cordialità ma si percepiva tensione da parte sua. Era turbato, e questo suo sentimento, alla luce di quanto accadde in seguito, fece apparire l'intervista come un testamento. Dieci giorni dopo la tragedia di Imola scrissi di getto quel libro, ma per evitare qualsiasi tipo di speculazione aspettai altri 4 anni per la pubblicazione".

Che personaggio era Ayrton Senna?
"Prima che un grande pilota, era un grande uomo. Aveva una sensibilità spaventosa, e un carismo palpabile che non ho mai più ritrovato in nessun altro campione sportivo. Da quel punto di vista era inarrivabile. Aveva uno spirito, una grandezza interiore che lo metteva in risalto rispetto agli altri. Ho visto con i miei occhi il suo enorme talento in pista. Era un fuoriclasse, e più delle vittorie mi ricordo delle emozioni che dava in qualifica, con un ultimo giro che pareva un colpo di pistola. Tutti lo aspettavano e anche in condizioni di non competitività riusciva a fare miracoli. In quella corsa maledetta di Imola, che mi lasciò scioccato, la F1 concluse drammaticamente uno dei suoi più grandi capitoli".


Con Viviane Senna

Che differenze ci sono tra quella F1 - in quanto a impegno giornalistico - rispetto al nuovo millennio?
"Mi ricordo che la pitlane era un luogo molto più accessibile. Dopo le conferenze stampa di rito si potevano avvicinare i piloti, scambiare delle parole in libertà, costruire dei rapporti che andavano al di là del lavoro. Dopo il 2000 c'è stato un crescente uso degli uffici stampa, con la loro rigidità e con le loro tempistiche. Una perfetta organizzazione che però ha penalizzato il fattore umano. Anche il lavoro giornalistico è diventato, di conseguenza, più povero. Ora ci sono i social media, strumenti che stanno permettendo ai piloti di dire la loro, creando dibattito o polemiche. E ciò è positivo anche per il giornalismo, perché il mestiere è quello di cercare di capire veramente cosa accade anche dietro le quinte".

I tuoi libri sui rally sono diventati un must per gli amanti del genere.
"Ho sempre cercato di focalizzarmi sull'aspetto umano più che sui fattori tecnologici, e pur se il mondo dei rally ha portato tante innovazioni tecniche, è anche un ambiente dove si sente forte la componente umana. Ero partito con il raccontare storie specifiche con "Tutti i figli del San Martino" e con "Miki Biasion, Storia inedita di un grande campione" ma poi ho voluto continuare a esplorare l'argomento con i due volumi de "Sotto il segno dei rally". La parte della mia vita giornalistica al seguito dei rally è stata piena di emozioni e legata a storie come quella ad esempio di Sandro Munari, capace di vincere il Tour de Corse nel 1967 con la Fulvia HF Coupé che all'epoca non era certo la favorita".


Con Markku Alen

E poi c'è il capitolo Dakar...
"È la gara delle grandi storie, dei grandi uomini, delle grandi fatiche, dei dolori e delle ferite. Tutto questo in mezzo all'immensità del Sahara. Maledicevo ogni volta il giorno in cui avevo deciso di partire, poi tornavo a casa e sentivo la mancanza, con chiari aspetti di masochismo. Chi ha fatto la Dakar africana non potrà mai scrollarsi di dosso il ricordo. Ho conosciuto tantissime persone, alcune molto bene, altre il tempo di due o tre parole. Molte le rivedo dopo tanti anni e ho davvero l'impressione che in realtà non siano passati che pochi minuti da quei giorni. La Dakar africana era una corsa fuori da ogni immaginazione, e capisco chi dava del fuori di testa a chi la andava a fare. Ma chi partecipava sapeva di andare incontro alle difficoltà e alla prospettiva di non tornare a casa".

Che cosa ti è rimasto di quel periodo?
"Mi resi conto di cosa era davvero l'Africa. Stare a contatto con le popolazioni locali e in mezzo al deserto mi ha fatto capire l'andamento di certi fatti attuali, come ad esempio l'emigrazione verso l'Europa. L'Africa era ed è una terra ancora di conflitti che risente ancora di ciò che resta del colonialismo, e l'Occidente ha fatto ben poco per migliorare la situazione nel corso degli anni. Devo dire che la Dakar, in questo senso, è stata più che una corsa. Sabine era molto contestato per l'organizzazione, gli suggerirono di chiudere tutto per via delle morti e della pericolosità, ma ben pochi ricordano che a margine venivano aiutate le popolazioni, portando l'acqua, aprendo pozzi, lasciando qualsiasi oggetto che potesse essere utile. Io stesso tornavo a casa con la valigia decisamente più vuota. È vero che tutto questo è un granello di sabbia nel mare della povertà, ma pur piccolo che fosse l'aiuto poteva essere di grande conforto. A Fabrizio Meoni, grandissimo pilota e ancor più grande uomo, questa corsa era entrata dentro; grazie alla sua fondazione e con l'aiuto di Padre Buresti di Castiglion Fiorentino sono state costruite scuole e altre strutture. Al loro fianco anche la comunità dei piloti francesi ha contribuito a portare conforto. Purtroppo la Dakar in Africa è morta per via del terrorismo e anche l'attenzione verso quei luoghi non è più la stessa".




Di quale pilota attuale ti piacerebbe raccontare la storia?
"Restando sulla F1 mi piace molto Nico Rosberg. È un ragazzo di bell'aspetto, ha una guida pulita, parla bene tante lingue ed è molto disponibile, sia con i tifosi sia con i giornalisti. Per me è uno di quei personaggi che può avere l'aura dei piloti d'altri tempi, e non sembra costruito da uffici stampa o da piani di marketing essendo più diretto e genuino. Ha fatto una bella gavetta per arrivare dove è ora, e attraversa un momento incredibile. Inoltre la sua storia familiare, con un papà campione del mondo, è sicuramente molto interessante. Certamente questo gli ha aperto le porte dell'ambiente, ma con una pressione maggiore rispetto ad altri. Mi sembra di intuire che potrà accadere anche con Mick Schumacher. Anche lui per avere successo dovrà resistere all'enorme peso del suo cognome: gli serviranno delle fondamenta psicologiche non da poco".

Che altre serie motoristiche segui a parte la F1?
"La MotoGP, che è straordinaria. Hanno un'andatura pazzesca e c'è un rapporto diverso sia verso i tifosi sia tra gli stessi piloti. Mi sembra che rispetto alla F1 ci sia più spontaneità. I ragazzi della MotoGP fanno cose incredibili, sembrano superuomini ma in realtà hanno solamente una voglia esasperata di correre, e questo vale sia per il primo in classifica sia per l'ultimo arrivato. Poi c'è questo grande personaggio, Valentino Rossi, che nonostante l'età si permette di fare delle stupefacenti prestazioni. Non nascono spesso campioni del genere. Valentino riesce a catalizzare l'interesse come mai nessuno era riuscito prima a fare. In questo mi ricorda Alberto Tomba, un campione che ha improvvisamente fatto incollare davanti alla televisione milioni di persone che non sapevano nemmeno andare sugli sci. Noi italiani abbiamo questa tendenza a essere trascinati dall'evento o dal personaggio, ma purtroppo è anche un segno di una cultura sportiva relativamente bassa".

Sono infatti accaduti tante volte, nella storia sportiva italiana, innamoramenti e disamoramenti repentini per determinate discipline.
"Ci sono tanti esempi. È capitato per la Coppa America, prima con il Moro di Venezia a San Diego (che segui personalmente) e poi con Luna Rossa. Ogni 4 anni ci accorgiamo di avere uno squadrone nella scherma, ma durante le pause tra un'Olimpiade e un'altra lo spazio per le vittorie nei mondiali e negli europei è ridottissimo. Pure il giornalismo deve riflettere su questo, ovviamente, perché la cultura sportiva deve essere insegnata sotto tutti i punti di vista. L'episodio che più mi fa pensare a riguardo è relativo a uno dei momenti più emozionanti della mia vita. Parlo della staffetta a Lillehammer, alle Olimpiadi. Era Italia contro Norvegia, la piccola nazione contro la grande potenza dello sci nordico. 250mila persone assistevano sul posto a quell'evento, tanto per far capire la portata, e c'ero anch'io. Negli ultimi 500 metri tutti i norvegesi gridavano e incitavano Bjørn Dæhlie, il fuoriclasse, mentre il nostro Silvio Fauner gli rimaneva attaccato. Poi, con un colpo di reni, la medaglia d'oro andò verso la staffetta italiana, azzittendo in un sol colpo il boato infernale dei tifosi locali. Dopo trenta secondi di silenzio irreale il pubblico cominciò ad applaudire i vincitori, tributando nel miglior modo possibile quello sotico momento. A me questa reazione restò dentro, e sono convinto che a parti invertite non sarebbe mai stata la stessa cosa".