lunedì 28 marzo 2016

Team BRIT, motorsport & disabilità verso Le Mans

Quando ho aperto questo blog, tempo fa, non avevo intenzione di scrivere qualcosa che ricordasse il flusso di notizie quotidiano. Per quello ci sono tanti altri siti, no? Anzi, in questo mare di news ci sono fin troppi pescatori... Non mi andava di condividere uno spazio già ristretto, ecco. Sono invece andato verso le radici del blogging, creando uno spazio per riversare la mia voglia di scrivere storie che piacessero soprattutto a me. Quello che sto per scrivere è proprio uno di quei racconti che non potevano non stuzzicare la mia curiosità.

Questa è una storia che parte da una immane tragedia umana, cioè la guerra. Un atto purtroppo del tutto umano che non solo ha un costo immediato di vite spezzate, ma che lascia ai sopravvissuti ferite difficili da rimarginare sia sul corpo sia nell'animo. Troppo spesso si sente parlare della mancanza di supporto ai reduci, prima servitori delle proprie nazioni e poi un problema sociale che le nazioni stesse non sembrano considerare appieno. Fortunatamente ci sono iniziative che provano in parte a dare il giusto spazio a queste persone, e il Team BRIT è una di queste.

Il Team BRIT è una scuderia automobilistica britannica che fa e farà correre, tra le proprie fila, piloti con gravi disabilità fisiche - principalmente reduci di guerra ma non solo -, dando un'opportunità agonistica a talenti altrimenti impossibilitati a esprimersi. Tuttavia non si tratta di un'operazione caritatevole come potrebbe sembrare, d'istinto. Questo è un progetto vero, serio e assolutamente ambizioso.

Ne ho parlato con Dave Player, fondatore del team che porta con sè il bellissimo hashtag #AliveToDrive. Ecco le sue risposte...

L'equipaggio del Team BRIT alla 24H di Silverstone (da sinistra):
Julian Thomas, Mark Allen, Martyn Compton, David Pittard. ©Scruffy Bear Pictures for Team BRIT



Il progetto del Team BRIT è rivolto alla diversità e a chi ha disabilità sia fisiche sia mentali. Quando hai cominciato a pensarci, e soprattutto perché?

Dopo aver lasciato l'esercito subii (nel 1991) un incidente nel quale mi ruppi il collo. Rimasi paralizzato e su una sedia a rotelle. Nonostante ciò, ho vissuto una vita davvero attiva, ho viaggiato, ho vissuto in differenti paesi e messo in piedi differenti business. Nel 2010 decisi che avrei lavorato con i reduci feriti delle truppe britanniche, e fondai KartForce, un'istituzione che permette loro di avvicinarsi al mondo del motorsport attraverso le gare di kart in versione endurance. Io stesso ho progettato i controlli al volante per i kart in questione. Molto presto scoprii che le gare avevano un impatto a lungo termine molto positivo sul morale di questi ragazzi. Le corse hanno risvegliato lo spirito competitivo che albergava dentro di loro, e hanno realizzato che avrebbero potuto competere allo stesso livello rispetto ai loro colleghi normodotati. Il motorsport ha dato a questi reduci, che vivono con ferite sia fisiche sia psicologiche, un nuovo obiettivo da seguire, aiutandoli a trovare la motivazione per ricostruire le loro rivoluzionate vite. Dopo 5 anni di karting, declinati in molte gare da 12 e 24 ore, alcuni dei ragazzi hanno chiesto se sarebbe stato possibile salire di livello, puntando alle auto. Ed è proprio da quella richiesta che è nato il Team BRIT.

A differenza di KartForce, questa squadra non è un ente caritatevole; è una società come tutte le altre e anche i piloti devono occuparsi della ricerca di sponsor. Questa è una parte importante del progetto: noi non solo aiutiamo i reduci a diventare dei piloti da corsa, ma li portiamo a sviluppare delle capacità commerciali che potrebbero essere utili a lungo.

Il nostro scopo è di ispirare altre persone con disabilità, depressione e disturbi post-traumatici da stress a ricostruire le loro vite attraverso il motorsport.

Martyn Compton, sopravvissuto all'incendio del mezzo militare con il quale stava svolgendo una missione.
Due soldati lo salvarono dal fuoco nemico e dalle fiamme, generate dallo scoppio del motore dopo un colpo da lanciagranate, mentre gli altri tre membri dell'equipaggio morirono. ©Scruffy Bear Pictures for Team BRIT

Il Team BRIT parteciperà alla 24 Ore di Silverstone nel prossimo aprile. La gara fa parte del calendario del campionato 24H Series (che ha fatto tappa anche al Mugello). La particolarità del campionato è che mette insieme tanti piloti pro e altrettanti gentlemen, con i primi spesso preoccupati sulle reali capacità dei secondi. Qual è la tua idea in proposito - visto che schiererai due piloti esperti affiancati da due reduci con esperienza relativamente ridotta nelle corse?

Abbiamo già alle spalle una stagione completa nel National Level britannico, con 8 vittorie in 12 gare. Di conseguenza abbiamo fatto un passo in avanti verso una serie internazionale, in previsione del raggiungimento del nostro obiettivo: la 24 Ore di Le Mans. I nostri piloti sono stati spesso sottovalutati, sin dai tempi del kart. Questo però si limitava solo a coloro i quali non avevano mai gareggiato contro di loro. Abbiamo partecipato a gare di tutti i tipi e contro avversari molto più esperti - talvolta dei professionisti. Alcuni arrivavano da noi, augurando ai ragazzi il meglio e di gustarsi l'esperienza. Dopo le corse ritornavano con un un livello di rispetto del tutto diverso. Abbiamo un pilota pro tra noi - David Pittard - e i tempi sul giro dei reduci sono praticamente al suo livello. Diciamo che il nostro esempio potrà insegnare qualcosa di nuovo al mondo del motorsport. Finché si parla e basta è un conto, ma solamente le azioni fanno guadagnare il rispetto. Questo è l'unico modo per rompere le barriere. Non serve lamentarsi - bisogna uscire fuori e agire.

Come approcceranno la corsa i due reduci iscritti dal Team BRIT, cioè Martyn Compton e Mark Allen?

L'approccio di Martyn e Mark a ogni corsa è assolutamente identico a quello portato avanti da qualsiasi altro pilota. La forma fisica e quella mentale sono prioritarie - abbiamo anche ingaggiato uno psicologo dello sport per questo. Si tratta di fare pratica, pratica e ancora pratica. Nulla fa migliorare un pilota come l'inanellamento di giri su giri in pista. I nostri coach hanno scoperto che Martyn e Mark hanno un modo unico per imparare velocemente, e ciò potrebbe essere legato alla loro esperienza tra i militari. Seguono le istruzioni alla lettera: scendono in pista, migliorano e tornano ancora più vogliosi di ricevere nuovi consigli. Sono sempre molto aperti al miglioramento e alla voglia di imparare, sia in pista sia fuori, e la loro crescita è stata sostanziale.


La Volkswagen Golf GTI con la quale il Team correrà a Silverstone.
La vettura è stata debitamente preparata per permettere a piloti disabili di correre in condizioni paritarie rispetto ai normodotati.
©Scruffy Bear Pictures for Team BRIT

Quali saranno i prossimi step per raggiungere l'obiettivo Le Mans?

Il nostro obiettivo è fare la storia alla 24 Ore di Le Mans 2018, diventando il primo team formato solamente da piloti disabili. Sappiamo dove vogliamo andare e come arrivarci. Dopo una stagione nella 24H Series, vorremmo salire di categoria nel WEC o nell'ELMS per il 2017. Il 2016 servirà ai nostri piloti per migliorare le capacità in corsa, ma anche per dimostrare agli sponsor che siamo un team con ambizioni serie e che meritiamo la giusta attenzione.

Mark Allen, qui di spalle, ha subito l'amputazione di entrambi gli arti inferiori.
Ha anche ferite al collo e agli arti superiori, dovute agli effetti devastanti dello shrapnel. ©Scruffy Bear Pictures for Team BRIT

Abbiamo già un grande esempio, tra gli atleti disabili, che ha dimostrato che correre in auto è possibile, ed è Alessandro Zanardi. Non solo la sua carriera è continuata dopo l'incidente, ma è stata anche mantenuta grazie all'intervento di numerose aziende sostenitrici. Pensi che il Team BRIT in futuro riuscirà ad attrarre altrettanta partecipazione da parte degli sponsor?

Ci sono molti piloti disabili di cui non si sente mai parlare che hanno fatto aprire gli occhi alle persone che lavorano le mondo del motorsport. Questi veterani dell'automobilismo hanno aperto la strada e hanno reso più facile l'inserimento delle generazioni successive di piloti disabili. Tuttavia nessuno ha avuto lo stesso impatto, a breve e a lungo termine, di Alex Zanardi. Zanardi è sempre stato una fonte di ispirazione per noi, e non solo per la sua guida. Dopo il suo incidente si è posto degli obiettivi e ha trovato un modo per raggiungerli tutti. Molte persone erano dubbiose riguardo alla sua competitività ad alto livello, ma i fatti hanno dimostrato che sbagliavano. Così facendo si è anche guadagnato la confidenza di sponsor seri. È questione di attitudine, di profonda determinazione, di capacità e di ottimismo.

L'intero team KartForce. ©Scruffy Bear Pictures for Team BRIT

Avete dedicato una parte del vostro progetto ai fan dell'automobilismo che vivono con disabilità?

Nel Regno Unito c'è una grande quantità di fan con disabilità, sia per quanto riguarda le due ruote sia per le quattro ruote. Andando a gareggiare il Team Brit porta con sé la speranza di trascinare ancor più disabili verso un impegno nel motorsport. Inoltre organizzeremo track days per differenti gruppi di persone disabili, inclusi i bambini. I nostri piloti dimostreranno che per loro sarà possibile trovare la dimensione giusta della loro esistenza, scrivendo in questo modo il capitolo successivo delle loro vite. Il nostro messaggio finale è che una questione soprattutto di attitudine: se vuoi qualcosa con tutto te stesso, puoi davvero riuscire a farlo succedere.

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