mercoledì 6 luglio 2016

Intervista a Gabriele Gardel: American style

Sentendo parlare Gabriele Gardel ho subito pensato alle origini della mia passione verso il motorsport. Che non era fatta di soli GP di Formula 1, ma piuttosto delle auto da corsa, fossero a ruote coperte o scoperte, su pista o su asfalto, sprint o endurance.



Il pilota ticinese (ma nato a Milano), classe '77, è un purista. La sua carriera è rimasta coerente, alla ricerca del piacere del motorsport. Tanto da fargli dire: «Amo le corse per quelle che sono, non per quanti soldi mi danno o per le coppe».

Nel 2016 Gardel sta correndo una discreta stagione nella Whelen Nascar Euroseries (team PK Carsport), con cinque top ten in dieci apparizioni e qualche ammaccatura sulla portiera, che porta il numero 24 (lo stesso che aveva Jeff Gordon). «Ho portato a casa un po' meno di quello che avrei voluto, ma è la natura del mondo Nascar a essere così. Sono stato buttato fuori a Valencia, a Venray e a Brands Hatch, sempre quando ero davanti. Probabilmente mi manca un po' di malizia! Dopo tanti anni nelle GT, categoria in cui le ruotate ci sono ma dove si sta solitamente più attenti, ora sto cercando di imparare a "darle" e al di là delle botte prese la categoria mi piace davvero molto. Non è magari evidente, ma correre in questo campionato non è per niente semplice, con alcuni elementi completamente nuovi o diversi rispetto al modo di correre europeo. Ad esempio qui ci sono gli spotter, che vanno ascoltati e con i quali la comunicazione deve essere perfetta».



Il sogno americano è una vera passione per Gabriele, e ha contagiato anche la sua attività lavorativa. Nella concessionaria da lui diretta è arrivato il marchio Indian e c'è uno spazio per le custom. «Da quando ho cominciato lo spazio per le moto e per l'american style è aumentato e questo calza a pennello con l'avventura che sto vivendo nel motorsport. Sono in entrambi i casi delle attività che fanno tornare alle origini, a un modo di intendere i motori più semplice. Mi sono appassionato a questo mondo grazie all'esperienza con i Daytona Prototype nel 2008 (team Doran), notando subito quei dettagli che anche oggi apprezzo: le poche hospitality, l'attenzione per lo spettatore, la presenza di raduni per marchi o per tipologia, il calore degli appassionati».



Gabriele ha cominciato a correre nelle monoposto nel 1997, è passato alle GT nel 2003 e ha corso per svariate case e con diverse tipologie di monoposto. Anche oggi la voglia di sperimentare non è tramontata. «Parteciperò a una gara della Global Mazda MX-5 Cup a Laguna Seca, a settembre. Per arrivare a questo ho partecipato a delle prove di selezione, rimettendomi in gioco completamente. Ci sono state delle sfide con simulatori di guida (iRacing, dove non sono andato benissimo: non sono abituato...), di preparazione fisica e di capacità al volante. L'organizzazione è stata eccellente e per me sarà un'esperienza stimolante».

Sorge spontanea una domanda. Chi lo fa fare, a un vincitore di classe a Le Mans, di andare a correre con le Miata?
«Semplice, se mi chiedono di correre, vado. Mi piace correre e basta, non ho nessun tipo di ambizione se non quella di scendere in pista e dare il massimo di quello che ho. Se poi i risultati arrivano, è chiaro che non dispiace. Posso aver vinto tante corse con le GT, ma chi lo sa, magari con le MX-5 me le daranno di santa ragione. Però nel frattempo avrò vissuto un'altra esperienza personale di rilievo, in un periodo dove comunque sono concentrato soprattutto sul lavoro nella mia concessionaria, un impegno veramente a tempo pieno».



Sono pochi i piloti che possono vantare tale poliedrismo. Come mai secondo te?
«In Europa, a differenza degli States, c'è più paura. Qualcuno magari pensa "Se vinco in GP2, e poi mi invitano a fare una gara in GP3 dove non vado forte, cosa penseranno di me?". Oppure "Non vado a fare il Rally di Lugano perché poi un falegname potrebbe andare più forte di me visto che non è il mio terreno"... Ecco, invece per me il bello è proprio mettersi in gioco, anche rischiando di arrivare ultimi.
Qui si sente tanto il miraggio della F1. Non nego che a 18 anni anch'io avevo speranze, ma poi avevo capito che sarebbe stato più giusto correre senza mettere un soldo. Minardi all'epoca mi disse che andavo abbastanza forte ma che senza un contributo non sarei riuscito a esordire. E allora cercai altre strade, andando poi nel mondo delle GT dove ho corso come professionista facendo tutto da solo, senza manager o altri intermediari. Ho imparato a fare i contratti e ora questo mi aiuta molto sul lavoro. A tal proposito dico ai giovani piloti di valutare bene le proprie possibilità, perché sono davvero troppi quelli che non hanno il senso dei soldi..

Il Ticino è un territorio piccolo ma che ora è rappresentato da tanti piloti di grande livello. Il peso mediatico però non è elevato.
«Quando ero agli inizi della carriera c'era un rapporto con i giornalisti di pura amicizia. A loro interessava il risultato delle corse a livello professionale e anche personale. Ora sembra che senza il comunicato stampa a volte non si accorgano nemmeno che c'è stata una corsa durante il weekend. Perché mai dovremmo dirglielo noi, quando ad esempio Alex Fontana va a correre nel miglior campionato GT al mondo oppure quando Stefano Comini stravince nel TCR? Trovo il livello attuale un po' carente - c'è troppa concentrazione su hockey e pallone - ma va anche detto che in ogni caso il Ticino è un territorio ristretto, forse dovremmo lavorare di più su scala nazionale».

La Corvette del Larbre con la quale Gabriele ha vinto la classe GTE-AM nel 2011


Cosa secondo te sarebbe utile trasferire dalla Nascar alla F1?
«La F1 a me piace molto, rimane sempre il top dell'automobilismo. Certamente però manca la semplicità, che è la grande dote della Nascar. Per loro l'obiettivo principale è la soddisfazione del pubblico, mentre in F1 è la necessità di non far incazzare i grossi costruttori. Ecclestone infatti cerca di tenere tutto il Circus in equilibrio mediando tra gli interessi che possono essere molto diversi. Inoltre c'è una differenza grande nel rapporto tra piloti e pubblico. Negli Stati Uniti chiunque può stringere la mano a Dale Earnhardt Jr. o Jeff Gordon, mentre in F1 è difficile soffermarsi per un attimo con Rosberg o Hamilton. Bisogna considerare che inoltre in Nascar i piloti hanno degli stipendi molto più alti...»




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