martedì 26 gennaio 2016

Alex Triulzi: la F3, la S4, Renato Molinari e altri aneddoti

Alex Triulzi, meccanico, è uno di quei personaggi fondamentali per il motorsport. Oltre a chi mette la faccia (i piloti, i team manager) e i soldi (gli sponsor), ci sono tanti lavoratori che costituiscono la struttura di questo mondo. Commissari di pista, organizzatori, giornalisti, strateghi e, appunto, meccanici. Meccanici che si sporcano le mani da sempre, e che un tempo probabilmente contavano più di ora. Il motorsport attuale è un fatto anche di aerodinamica e di elettronica, componenti in precedenza snobbate o inesistenti.


Alex Triulzi nel 1983

Dicevamo di Alex. Abita a Lamone, vicino a Lugano, ma è italiano a tutti gli effetti. Questo ragazzo (perché anche a 56 anni dimostra un invidiabile entusiasmo) lavora nell'universo dei motori dal 1979, e ancora oggi frequenta le piste dispensando esperienza tecnica. Grazie a lui ho intrapreso un viaggio indietro nel tempo, con i suoi racconti che si intrecciano con molte personalità di spicco del nostro motorsport.

"Ho cominciato a lavorare nell'automobilismo tra la fine del 1979 e l'inizio dell'anno successivo, quasi per caso. Prima mi divertivo a montare e smontare le moto a casa mia, fino a che non è arrivata l'opportunità di lavorare per la BSA di Ido Bischeri e Franco Alloni. In questa azienda, che lavorava per Abarth, Alfa Romeo, Lancia, Cosworth, Zakspeed e tantissimi altri, cominciai costruendo alberi a motore e alberi a camme. Ben presto, grazie anche al collega Franco Gaffuri, imparai a lavorare sui motori in tutta la loro complessità".

Alex Triulzi oggi


"Tra i primi motori da corsa ricordo i famosi Toyota/Alloni. Erano diversi dai Toyota Novamotor che andavano per la maggiore a quei tempi. Ottennero diversi buoni risultati anche senza le grandi risorse che appunto Novamotor aveva a disposizione. Poi vissi l'importante esperienza del lavoro sull'Hart di F2 usato tra gli altri da Alberto Colombo. Mi occupavo della revisione completa di quel motore, lavorando su pistoni, bronzine, fasce, valvole, testa... il rapporto con gli inglesi era buono e devo dire che il potenziale era grande. Tecnicamente era valido e al passo coi tempi, con il monoblocco in alluminio, canne riportate in Nikasil e l'iniezione meccanica Lucas. Quel motore di F2 fu usato poi come base per il turbo da 1500cc poi utilizzato anche in F1. Purtroppo la mancanza cronica di budget ne vietò lo sviluppo. Mi ricordo che avevamo il banco prova su una sorta di soppalco, e quando montavamo il nostro Brian Hart per rodarlo e tirarlo si sentiva un bel rumore..."

Qual è il progetto più strano al quale hai partecipato?
"Insieme a Massimo Brambilla, che definirei come l'uomo nato con il cannello in mano, realizzammo una Lola destinata a fare gare di velocità in salita. Il pilota era il romano residente a Barcellona Pietro Raddi, un tipo che non badava certo al portafoglio. La Lola era arrivata in officina con un motore BMW, ma noi montammo un motore 2 tempi di derivazione nautica. Era posto verticalmente e per "entrare" nel cambio Hewland classico c'era un rinvio di 90°. Vista la sua natura marina fummo costretti ad aggiungere tre radiatori, uno davanti e due di fianco. L'idea era buona, perché con questa propulsione poteva sfruttare una coppia niente male e avere un po' di allungo, doti ideali per le gare in salita. Erano 300 cavalli di pura mostruosità. Quando andammo all'esterno a provarlo, il rumore fu così forte da attirare i carabinieri... Infine, tanto per gradire, Pietro fece aggiungere sei espansioni agli scarichi dopo aver riportato la vettura in Spagna. Purtroppo questo prototipo ebbe vita breve, perché l'anno successivo i motori a 2 tempi furono messi al bando dalla Federazione spagnola".




Grazie all'accordo tra BSA e il gruppo Fiat hai contribuito alla realizzazione di alcune tra le vetture più competitive dei rally anni '80. Che tipo di lavoro era?
"Molte volte capitava di fare degli straordinari. Le esigenze delle corse non seguono gli orari normali di lavoro, come si sa. Le aziende legate alla Fiat avevano rigidi segmenti: c'erano le 8 ore di lavoro e poi a casa. Di conseguenza non potevano stare dietro all'agenda dei reparti corse. Durante questi straordinari spesso mi occupavo della Lancia S4, o meglio 038 per noi dell'ambiente. Oltre a costruire i suoi alberi motore alla BSA ci occupavamo anche delle revisioni. A parte volumetrico e turbo io revisionavo il resto del motore, con un'articolata scheda tecnica da rispettare. Ho fatto tante ore di lavoro in compagnia della 038 e per me è rimasta una macchina speciale. Mi è capitata anche la fortuna di andare a vedere al banco prova ufficiale il "mio" motore: esperienza fuori dal comune. Aggiungo inoltre che le persone che seguivano il programma Lancia con i rally erano supervalide, piene di idee e di passione. Inimitabili".

Lancia S4

La 037 e la 038, per alcuni l'apice dell'epoca Gruppo B...
"A proposito... Mi è capitato di rispondere su Facebook a certe assurdità riguardo alle auto da rally. Alcuni sostengono che le WRC oggi vanno più forte delle Gruppo B perché hanno più cavalli. Indubbiamente le prestazioni sono simili, ma le Gruppo B avevano più cavalli e meno elettronica, il che le rendeva delle belve. Ecco, diciamo così: le WRC sono umane, le Gruppo B disumane. Le WRC hanno molta elettronica che semplifica la vita; il cambio elettroattuato, il sequenziale, la centralina che gestisce meglio la potenza. Vanno forte non solo per la bravura dei piloti, ma perché la guida è più fluida, con meno assilli. Prima, invece, c'era il cambio ad H a cinque marce che funzionava solo ed esclusivamente se la temperatura dell'olio del cambio era tra i 40° e i 50°! Mi chiedo inoltre a che livello saremmo potuti arrivare senza la chiusura di quell'epoca. I prototipi in studio avrebbero raggiunto potenze ancora più incredibili".

Torniamo alle monoposto. Hai seguito altri progetti particolari nel mondo delle F3?
"Verso la fine degli anni '80 seguii Bischeri alla Montepilli, dove rimasi qualche anno. Nel 1989 intraprendemmo un progetto con buone potenzialità che purtroppo non ebbe fortuna. Avevamo messo in piedi un motore per la F3, un Honda 4 cilindri con 12 valvole anziché le 16 usate da Mugen. Non fu facile; prima di tutto c'è da dire che l'originale girava sinistro mentre noi l'abbiamo fatto destro. Poi redistribuimmo anche i pesi e ci affidammo alla nuova iniezione elettronica progettata dalla TDD. Insomma, il progetto era giovane e da sviluppare ma poteva essere vincente, dopo un primo anno acerbo in quanto a risultati con Alberto Trezzi e Andrea Filippini. Malgrado tutti gli sforzi l'avventura con questo motore si concluse definitivamente con la morte di Ido Bischeri, che era il faro dell'azienda".

Via, concludiamo il capitolo F3 con un altro aneddoto.
"Degli anni della F3 ho un ricordo bellissimo di un "mio" pilota, Nino Famà. Lui è un altro uomo che ha tirato fuori delle cose straordinarie partendo dal nulla. La sua passione per i motori non riguardava solo le auto, ma amava moltissimo il volo. E infatti non per niente ora costruisce elicotteri, esportando la sua bravura in tutto il mondo con il mitico modello KISS. Questo ragazzo andava forte e non era certo un tipo banale: ha vinto varie volte il campionato italiano di sidecar cross! Una volta lo scortai con la mia uno turbo verso il campo di volo di Modena, dove avrebbe provato un deltaplano. Mi chiese anche di salirci su, ma rifiutai..."



Passiamo alle barche, a questo punto. 
"Essendo curioso di natura non mi sono mai tirato indietro quando potevano esserci delle esperienze nuove su cui lavorare. Con Renato Molinari è andata così. Tra il 1992 e il 1993 lavorai sul suo primo catamarano con 2 motori Lamborghini, uno che girava destro e uno sinistro. Erano dei 12 cilindri da 8200 cc, giravano a 8500 giri con una potenza che sviluppava oltre 1000 cavalli. Quando lo portavamo nella nostra piccola sala prove era una cosa folle. Renato poi passò ai Seatek sviluppati da Romeo Ferraris e vinse qualche gara del campionato offshore. La prima volta che testammo la monocarena per l'offshore a Como provai addirittura l'esperienza di guidare quel bolide. Renato chiese: "Chi sa guidare?". Inizialmente io risposi di no, ma poi mi disse in rigoroso dialetto di salire su. Io ero al "timone" e lui alle manette. Come mi disse di fare, presi un punto sulla montagna da seguire e guidai questa barca da 13 metri che faceva voli incredibili al solo toccare una piccola onda... Da Como arrivammo a Lezzeno, dove Renato aveva il suo cantiere, in pochissimi minuti, con io che vedevo a malapena dove andavo! Guidare una barca è come andare sulle uova, e lui aveva un talento enorme nel farlo. Inoltre ha anche una gran cultura tecnica: le eliche delle barche le faceva lui a mano, con gradi e inclinazioni precise; non è una cosa da tutti i giorni. Infine devo dire che Renato è una persona schietta: se deve dirti che qualcosa non va, te lo dice immediatamente; al contempo però sa apprezzare le cose fatte bene".



Hai citato Romeo Ferraris. Hai lavorato anche con lui...
"Romeo Ferraris! Lo conobbi tramite Bischeri quando scoprimmo di avere un banco prova non più affidabile, un problema che potevamo risolvere solo andando da lui a Opera. Persona davvero squisita. Due parole con lui equivalgono due libri e per il motorsport italiano è ancora una grande risorsa. La sua apertura mentale in tutte le direzioni mi è sempre piaciuta, e infatti con Romeo si può parlare di donne, di motori, di aerei, di ecologia. Come del resto mi capita anche con il figlio Mario, cresciuto con ottimi valori e curioso per le novità come il padre. Hanno da sempre sperimentato cose nuove, sia con i motori - celebre un 1000 di cilindrata con 8 cilindri che tirava a 12000 giri - sia con l'evoluzione elettronica. La preparazione delle loro vetture è maniacale e anche gli ultimi progetti come il Cinquone e la Giulietta TCR sono di primissimo livello".

C'è un pilota recente - tra quelli con cui hai lavorato - che ti ha impressionato?
"Uno degli ultimi piloti con cui ho lavorato è il grande Aku Pellinen. Chiariamoci: se ribaltiamo lui, suo papà e sua mamma non vengono fuori nemmeno dieci franchi. Si tratta del classico finlandese freddo, che sta sulle sue fino a che non trova un ambiente nel quale poter dare confidenza. Con me l'ha trovata presto, essendo io un latino casinista e loquace! Penso che se avesse avuto qualche soldino in più sarebbe arrivato davvero in alto. In realtà Aku è solo l'ultimo grande talento che per un motivo o per l'altro non ha fatto la carriera che meritava".

Alex al lavoro sulla BMW di Ferraresi e del compianto Walter Meloni

Quali sono state le promesse mancate del motorsport italiano?
"Sicuramente Gianantonio Pacchioni, pilota straordinario al quale sono state tagliate le gambe alla grande. Secondo me coi kart se la giocava con tutti quei piloti che poi hanno vinto in F1, compreso Schumacher. Voglio dire, ha vinto due volte la gara di F3 a Montecarlo! Persona introversa ma che con la giusta confidenza dava tutto. Purtroppo per lui non sono arrivati né gli sponsor né gli appoggi giusti. Tra i grandi senza corone aggiungo Beppe Gabbiani, un vero fuoriclasse. Però era anche un matto, non si è mai saputo vendere e per questo motivo non ha mostrato tutto il suo valore".

Chi invece hai apprezzato maggiormente tra i grandi campioni degli ultimi decenni?
"Di quelli che invece hanno avuto successo ne scelgo due. Uno è Ayrton Senna, che vidi gareggiare con i kart a Parma. Era bravo in una maniera oscena, gli altri sembravano fermi. Il suo stile era pazzesco: Fullerton doveva rischiare in ogni curva per tenergli testa. L'altro è Mika Hakkinen. Arrivò a Imola - invitato - per una prova del campionato italiano di F3. Corse fuori classifica con la sua Reynard-Mugen ufficiale con i colori Marlboro. Non aveva mai visto la pista, eppure concluse in testa tutte le sessioni e vinse la gara con una vita di vantaggio. Molti nel paddock mugugnavano dicendo che aveva le gomme migliori, il motore diverso e questo e quest'altro. No, era semplicemente veloce. Tuttavia - mi ricorderò sempre questa scena - ai box si mise a rispondere punto per punto a un ingegnere indispettito che gli chiedeva, manco fosse in F1, di indicargli più precisamente cambiate, velocità e traiettorie. Già all'epoca si sapeva che sarebbe arrivato in alto e il suo miglioramento è stato incredibile".

Raccontami del tuo incontro con Mauro Forghieri...
"Bischeri mi disse, un giorno: "Vestiti bene, che andiamo a Modena". La nostra meta era la Lamborghini Engineering, dove stavano costruendo la F1 sotto le direttive del grande Mauro Forghieri. Arrivati là lui e Bischeri si misero a parlare, mentre io un po' imbarazzato facevo il fungo... Finché non mi tirarono in mezzo nelle faccende tecniche. Insieme ad altri ci occupavamo del manichino del motore Lambo, un lavoro certosino che assumeva molto importanza visto che il motore era semiportante. Il manichino serviva ovviamente a calcolare gli ingombri e da quanto riuscii a vedere la F1 di Forghieri era all'avanguardia per molte soluzioni. Tuttavia la Lamborghini non finanziò mai direttamente il progetto e anche la proprietaria dell'epoca (la Chrysler) non investì granché. Mi è rimasto però un bel ricordo di Forghieri, persona molto alla mano e competente".




Come lo vedi la F1 e, in generale, il motorsport odierno?
"La F1 di oggi è molto macchinosa. Il rischio di addormentarsi è alto... A ogni minimo contatto si va sotto investigazione, c'è questo obbligo di montare certe gomme che mortifica le strategie, c'è tutta questa elettronica che plafona le differenze. Poi guardo dieci giri della NASCAR... E mi convinco che hanno ragione loro. Dobbiamo tornare indietro per avere uno spettacolo più umano, dove si possano vedere le capacità dei singoli piloti. Torniamo indietro a quando si correva con meno carico aerodinamico, meno elettronica e meno team radio. Torniamo indietro a quando si poteva gareggiare senza spendere tutto quel denaro. Non è un discorso che riguarda solo la F1. Per me il vero spettacolo lo si vedeva al Lotteria di Monza. Le libere erano al giovedì, perchè con 50 F3 chiaramente si dovevano effettuare le prequalifiche. E i piloti? Una ciurma di assatanati tra i quali c'erano i piedi pesanti, i pensatori, i coraggiosi e anche i lenti e i pasticcioni. Ripeto, andiamo a imparare dagli americani".

venerdì 22 gennaio 2016

Il ragazzo che corre la 24 Ore di Daytona... da solo!

Il motorsport a volte offre storie che vanno al di là della realtà fisica. Oggi voglio raccontarne una che rientra appieno in questa caratteristica. Parlerò di un pilota che affronta sfide davvero, davvero speciali. E virtuali, soprattutto.

Ian Plasch ha 23 anni ed è un ragazzo di Chicago. Si iscrisse cinque anni fa a iRacing, la piattaforma ultrarealistica che permette ai piloti da salotto di tutto il mondo di sfidarsi su piste e in campionati derivati dalla realtà. Molti piloti professionisti usano iRacing per divertimento e per allenarsi, e non è raro vederli nelle classifiche mondiali insieme a giovani e meno giovani piloti amatori che magari non hanno mai messo piede (o quasi) su una vettura da corsa vera.

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Ian Plasch

Ian, che su Youtube si chiama RARChevette, ha cominciato a correre (virtualmente) sugli ovali americani ma si diletta anche in eventi singoli su circuiti che girano anche a destra, come ad esempio la 24 Ore di Daytona. Quest'anno correrà proprio la versione iRacing della classica gara di durata (in programma il 23 Gennaio) con una Corvette C7 Daytona Prototype... ma da solo.

Avete capito bene, da solo. Tutte e 24 le ore di gara. E lo farà a scopo benefico. Dalle sue parole: "Il mio obiettivo è di raccogliere 1000 dollari da donare all'ospedale St.John di Chicago, una struttura che fa parte del Children's Miracle Network Hospitals (per chi volesse contribuire, qui ci sono tutte le info). Le donazioni, gestite dalla piattaforma Extra Life, andranno a coprire le cure per bambini gravemente malati, spesso non coperte dalle assicurazioni sanitarie", come purtroppo sovente accade nel sistema statunitense.

La vettura "dipinta" da John Dragonetti del Drakon Tech Designs

Quando e come hai deciso di intraprendere questa strada?
"L'idea di correre con questo obiettivo è giunta di recente. Un mese fa, per l'esattezza. In sostanza quando ho pensato di ripetere l'esperienza di correre da solo una 24 ore, ma aggiungendo qualcosa in più e esaudendo il mio desiderio di creare un evento che potesse aiutare qualcuno. Nel 2015 la diretta streaming su twitch.tv/rarchevette era stata un successo personale, e nel 2016 l'aggiunta di una raccolta fondi a scopo benefico alzerà l'asticella. La comunità dei videogiocatori non è nuova a questo tipo di iniziative che nel recente passato hanno raccolto molte donazioni (anche oltre al milione di dollari in alcune occasioni). Anche iRacing ha giustamente appoggiato il progetto promuovendo attivamente l'iniziativa".

Come ti organizzerai a correre per 24 ore?
"Bèh prima di tutto devo ricordare che le rigide regole di iRacing non si piegheranno a una gara in solitaria. Per essere classificati iRacing richiede un minimo di 2 piloti e un'equa percentuale di tempo passato in pista. Di conseguenza verrò squalificato (ufficialmente verrà cancellata la mia posizione ma i giri saranno comunque conteggiati). Questo mi permetterà di prendere delle pause un po' più lunghe per andare in bagno, mangiare e schiacciare qualche breve pisolino visto che comunque non correrò per la classifica. Ho calcolato che se dovessi correre per tutto l'evento, con i pit stops e le varie pause a intervalli di qualche ora, dovrei riuscire a fare 810-820 giri".



Una cosa del genere la può fare solo un appassionato vero. Tu cosa segui?
"Io sono un fan di tutto il motorsport, dalla Nascar alla F1, dai rally alle Indycar e alle corse GT... Se ha delle ruote, fa rumore e va veloce allora è una cosa che amo! Sono appassionato di corse praticamente sin dalla nascita".

Puoi raccontarmi qualcosa della tua unica esperienza in una pista vera e della 24 Ore di Daytona del 2015?
"Sfortunatamente nell'unico evento reale a cui ho preso parte (la corsa DARE Stock Division sullo Speedway di Stafford) dopo sei giri si è rotto il motore. La gara è così tristemente finita, ma è stata comunque un'esperienza straordinaria che non dimenticherò mai. Non vedo l'ora di avere un'altra chance, ma nel frattempo ho gareggiato in un campionato di kart locale per tenermi in forma. Per quanto riguarda le gare su iRacing ho già corso la 24 Ore di Daytona in solitaria, ma con una Honda (sempre un Daytona Prototype). Quella macchina era decisamente più facile da guidare di quella attuale grazie a una migliore manovrabilità e al maggior carico. Potevo letteralmente andare in modalità "cruise control" e stampare comunque ottimi tempi. La gara fu percorsa interamente con il sole, mentre quest'anno sarà integralmente notturna visto che iRacing non supporta ancora le transizioni giorno/notte. Mi sento di avere una migliore preparazione rispetto all'anno scorso e spero vada tutto bene. Una cosa è certa: questa volta userò i guanti..."

Cosa pensi di iRacing e del fatto che si possa correre insieme a piloti professionisti?
"Per allenarsi iRacing è davvero fantastico e migliora continuamente. Posso dirlo con certezza soprattutto dopo la gara allo Stafford Motor Speedway. Anche se la fisica di iRacing è differente da quella incontrata nella realtà, ho potuto comunque provare sull'accurata rappresentazione virtuale della pista, imparando le linee che dovevo usare, i punti di frenata, come accelerare. Grazie a iRacing sono entrato su un circuito in realtà mai visto prima e dopo alcuni giri sentivo già la giusta confidenza. Ciò mi ha permesso di imparare a gestire la vettura durante le prove libere anziché dover lottare con la pista per trovare la velocità giusta, cosa che appunto avevo fatto... a casa. E poi, i piloti reali... Proprio ieri ho corso contro AJ Allmendinger in una prova libera a Daytona. Lui stava allenandosi per la gara ufficiale, visto che la pista vera è inaccessibile, ed era per altro dannatamente veloce! Siamo stati vicini per alcuni giri e ho imparato tantissimo da lui, oltre a provare un gran divertimento!"


martedì 19 gennaio 2016

Alex Fontana: ...e ora andiamo in GT!

Se il buon anno si vede dai primi di gennaio, allora per Alex Fontana potrebbero esserci dei grandi momenti in questo 2016. Il pilota ticinese, che nel 2015 ha corso in GP3 con la Status Grand Prix, ha firmato un contratto con la Mclaren, in vista di un impegno con le vetture GT del marchio britannico.




Eh sì: la carriera di Alex vira decisamente verso le ruote coperte con l'ingresso nella Mclaren GT Academy, guidata tra gli altri dall'ex pilota Andrew Kirkaldy (terzo a Le Mans in classe GT2 nel 2006). Insieme a lui ci saranno anche i britannici Struan Moore e il confermato Andrew Watson.

Quali sono state le tappe che ti hanno portato alla firma per la casa di Woking?
"Tutto è partito da una serie di contatti che ho raggiunto grazie al mio periodo alla Status Grand Prix. Una di queste persone è andata a lavorare in Mclaren e, apprezzando il mio impegno nel motorsport, ha fatto il mio nome quando si è prospettata l'opportunità di prendere nuovi piloti. Al mio primo appuntamento a Woking hanno notato, oltre al palmares, anche la mia buona attitudine verso la comunicazione, dato che parlo cinque lingue. In seguito c'è stato il primo test, che ho svolto a Barcellona dopo la tappa GP3 di Sochi. Erano presenti altri tre piloti oltre a me. Il provino è andato bene, e io e Moore siamo stati selezionati. A Barcellona ho sentito empatia. L'ambiente era rilassato e tutto è filato liscio. Non avevamo tanti giri a disposizione, più o meno erano 30 a testa. Ma la cosa importante per loro era capire in quanto tempo saremmo stati in grado di prendere la mano con la vettura, di gestire le gomme sia con uno stint breve sia con uno un po' più lungo. Un'altra parte importante riguardava il dialogo con gli ingegneri. In fondo erano già a conoscenza delle doti velocistiche; il test serviva anche a vedere l'aspetto umano, su quanto fossimo in grado di stabilire un'interazione e fornire un feedback il più possibile accurato".

L'approdo alla Status Grand Prix è stato quindi più conveniente del previsto, nonostante una stagione 2015 molto, molto difficile.
"Con i ragazzi del team ho buonissimi rapporti, soprattutto con Teddy Yip, persona che ha avuto fiducia in me fin dal primo momento. Diciamo che se loro avessero bisogno di me in GP2 non dico che sarei il primo della lista, ma certo potrei avere l'opportunità di risalire su una monoposto. Tornando al 2015, non posso certo pensare a questa stagione in termini soddisfacenti. Ho lottato con i miei compagni, e basta. Non potevamo vincere le gare, perché tutti e tre prendevamo distacchi incredibili. A un certo punto abbiamo stravolto la macchina per ridurre il gap, ma non è stato sufficiente nonostante un timido miglioramento. Probabilmente essendo l'ultima stagione in GP3 il team si è perso un po' per strada, soprattutto a inizio stagione. Tuttavia credo di aver dimostrato di non aver perso il mordente: ho totalizzato il doppio dei punti dei miei compagni di squadra, ho guidato per alcuni giri la gara a Monza nonostante una cronica mancanza di velocità, difendendomi finché ho potuto. E poi ho partecipato alla gara di Montecarlo nelle World Series andando subito a punti..."


Il test con la GP2

In ogni caso, il programma GT avrà la priorità.
"Assolutamente. Non escludo a priori, come detto, le gare nelle monoposto, ma se dovessi avere degli intrecci nel calendario darei precedenza alle GT. Non è stato ancora ufficializzato il mio programma (dovrebbe essere incentrato sulla Blancpain Endurance Series, ndb), ma sarò felice di correre ovunque potrò. Nel contratto sono comprese anche possibili giornate di test e di sviluppo, quindi passerò spero tanto tempo nella vettura".

La F1 è davvero irraggiungibile?
"Confermo che è molto molto difficile arrivare in F1. Io sono davvero contento di averla provata una volta, e per ora mi basta. Non ho accesso a certe conoscenze e non ho abbastanza budget, punto. Anche Vandoorne è rimasto fuori, e questo fa capire quanto sia ristretto questo mondo. Tra l'altro pure in Indycar si fa una grande fatica a entrare per via dei budget richiesti. Sinceramente non apprezzo la piega che ha preso la F1. Si tratta forse della peggior F1 mai vista. Le macchine non sono belle, non sono nemmeno tanto veloci e costano davvero troppo. Sarebbe bello tornare ai tempi dei garagisti, forse ci sarebbero più opportunità per tutti. E poi anche i piloti sono bloccati: sono soldatini e la loro personalità non può saltare fuori..."

Ti infastidisce leggere commenti sulla validità o meno del tuo talento e di quello di altri piloti, magari scritti da persone che non sono a conoscenza delle reali forze in campo?
"Sicuramente. Io sono un tipo orgoglioso e un po' di fastidio in effetti ce l'ho. Nell'ambiente le informazioni necessarie a capire ci sono, e quindi fa meno male ricevere critiche, soprattutto se sono dette in prima persona. Invece quando leggi su Internet di persone che dicono la loro facendo finta di sapere cose che non sanno è deprimente. C'era chi sosteneva che nel mio test con la Lotus avessi girato a sei secondi di distacco da Sorensen, cosa assolutamente non vera; anzi, grazie anche a quel test mi era stato rinnovato il contratto. Certo, sono consapevole che il 2015 statisticamente non è stata una grande stagione, ma sono stato professionale al cento per cento e ho la coscienza a posto. Peccato per certi disinformati, ma non ci possiamo fare nulla.. Per altro è successo anche a Stefano Comini - tanto per rimanere nel ristretto Ticino - che nonostante la sua meritata vittoria in campionato è stato criticato da persone che probabilmente hanno guardato solo mezza gara delle sue e già pensano di aver capito tutto".


Il casco di Alex e del papà Raoul


I tuoi sponsor, sempre numerosissimi, sono stati felici della novità in salsa GT?
"Devo ammettere che la domanda me la ero posta anch'io, quando valutavo se fosse il caso di puntare ancora sulle monoposto o abbracciare questo programma. Ma alla fine posso dire che il messaggio è passato. Le vetture GT3 fanno la loro figura, e tecnicamente possono quasi essere paragonate a delle formule... carenate. La Mclaren 650s è davvero una bella macchina da vedere e anche gli sponsor ne saranno felici, sia per l'effetto scenico sia per il valore aggiunto dell'essere legati a un costruttore di rilievo".

L'idea di correre una 24 Ore ti attira?
"Sono sicuramente curioso di vedere com'è, ora più di prima. Ti dico la verità, faccio quasi fatica a immaginarmi nel fare due ore di stint e poi schiacciare un pisolino, abituato come sono a gare sprint senza soste ai box. Ci sono però tante cose intriganti da scoprire, come ad esempio girare con tante temperature e visibilità diverse. Ci sarà da fare molto lavoro di squadra, facendo affidamento sui compagni e imparando a gestire la vettura, evitando gli azzardi e accettando i guasti meccanici che in gare così lunghe sono la norma".


Il test di Alex con Kessel Racing

sabato 16 gennaio 2016

Federico Sceriffo: Il drifting, il 2016 e l'Italia

Fuori dai banchi di nebbia del motorsport italiano e purtroppo fuori dal circuito dei media generalisti c'è un sole splendente. Anzi, un sol levante. Parliamo di Federico Sceriffo, primo pilota italiano a correre nel seguitissimo campionato giapponese di drifting D1 Grand Prix. Il pilota milanese, nato il 14 maggio del 1982, è dal 2009 che frequenta questo campionato grazie all'ingaggio ottenuto con il prestigioso Team Orange.

© Charles Ng

Chiarisco subito: bisognerebbe parlare più spesso di piloti come lui. La sua storia e la sua passione per i motori sono lampanti. Quindi è per me un piacere ascoltare e trascrivere le sue parole...

Com'è nata la tua passione per il mondo dei motori?
"Sono stato uno di quei bambini che alla visione delle macchine andava fuori di testa! Mi piacciono le macchine come oggetto, da ammirare e da sognare, oggi come ieri. Forse tutto è nato dal fatto che quando avevo 14 anni ho cominciato a guidare un po', grazie agli amici, e sono cresciuto con gente molto estroversa e appassionata. Era sempre una gara a chi era il più matto, e a me veniva abbastanza bene. Inoltre anche mia mamma è appassionata di auto da corsa e mi ha sempre assecondato. I risultati arrivati dopo sono frutto di tantissimi passaggi nei quali ho sempre dato il massimo, per altro divertendomi".

Il Giappione è arrivato presto nella tua carriera.
"Dopo le prime esperienze tra il 2004 e il 2005 ho colto i primi piazzamenti nel campionato italiano e poi c'è stata una svolta. Avevo il presentimento che fare il drifter in Italia fosse ancora prematuro, e allora decisi nel 2008 di tentare la fortuna altrove. Per altro il drifting è ancora oggi un oggetto misterioso nel nostro Paese, c'è ancora molto lavoro da fare.... Comunque, tornando al 2008, decisi di partecipare a una gara a Ebisu organizzata dallo storico Team Orange. Ottenni la licenza D1 e da lì tutto ha preso una piega diversa".

Federico a Ebisu, la pista "di casa"

Il Team Orange è uno dei più importanti in Giappone e nel mondo.
"Sì, anche se ha una gestione più che altro familiare. Nobushige Kumakubo, presidente per altro anche del circuito di Ebisu, è stato campione D1 nel 2006 e nel 2012, e guida una squadra forte e storica. Il team non si occupa solo del campionato D1, ma anche di una lunga serie di attività collaterali. Siamo stati replicati nei videogiochi, abbiamo partecipato a Fast & Furious come controfigure, abbiamo fatto spot pubblicitari, video virali. Si tratta di persone capaci di cose straordinarie e soprattutto in grado di mantenere la parola data, che è raro..."

Viene spontanea un'altra domanda, allora. Com'è il tuo rapporto con i giapponesi?
"Prima di tutto si tratta di gente bella e semplice, a cui basta una stretta di mano. Ma al contempo sono quadrati, non vedono sfumature. Quando si dice che i giapponesi sono innamorati della nostra creatività è vero, perché in effetti con le sfumature che loro vedono poco noi quasi ci viviamo. Apprezzano la mia italianità, dote di cui per altro vado fiero nonostante le cappellate che facciamo in giro per il mondo".

E con i piloti giapponesi?
"Il pilota giapponese non ti considera finché non ottieni risultati. Prima non esisti. In seguito la stima arriva. Si tratta di una mentalità diversa rispetto a un ambiente diciamo latino, nel quale fin quando non crei problemi sono tutti amici, mentre poi quando vai forte rischi di avere tutti contro. Là ho notato più rispetto in quel senso. Tuttavia il fatto di non essere giapponese mi ha dato qualche problema. Ho molti amici, ma faccio fatica a entrare nell'ultimo cerchio, nel gotha più ristretto. Per avvicinarsi a quel livello c'è solo una cosa da fare: imparare bene il giapponese. Oggi io conosco un numero di parole che mi permettono di essere educato e magari simpatico al momento giusto, ma non sono ancora pronto per esprimermi bene in un discorso prolungato. Ci sto lavorando..."




Oggi sei molto impegnato anche in Cina, dove il seguito per il drifting sta crescendo. Per altro uno dei punti più alti della tua carriera è stata la vittoria alla Red Bull Tianmenshan Mountain Drift King Battle.
"Sì, è vero. Da quando ho ottenuto diverse vittorie in Cina al circuito Internazionale di Zhuhai e Hong Kong spesso mi fermano per un saluto o per una foto; è molto piacevole. Ed è folle, perché scendendo dall'aereo in Italia bisogna invece spiegare cos’è il drifting! A parte questo, anche nel 2016 confermo l'ingaggio da parte del Team Red Bull China. Non abbandonerò comunque il Giappone, perché con il Team Orange sono in programma alcune tappe tra cui quella di casa a Ebisu - una delle più spettacolari e complesse -, quella di Tokyo e altre manifestazioni internazionali di spicco".




Il futuro più lontano, invece?
"Nel 2017 sarebbe bello poter partecipare a qualche evento americano. Per questo obiettivo stiamo preparando una macchina in linea con i regolamenti, ma c'è un lavoro molto lungo e certosino da portare avanti. Poi mi piacerebbe molto anche sviluppare un'auto italiana da portare in pista, magari una bella Giulia biturbo cattiva cattiva. Sarebbe bello in questo senso avere un supporto dalla casa madre come lo hanno i piloti più forti negli Stati Uniti; a livello tecnico bisogna essere al top".

Come ti piacerebbe rilanciare il drifting in Italia?
"Prima di tutto dovrei trovare aziende con mentalità adeguata a un certo tipo di manifestazione. Non avrei problemi a chiamare i più bravi piloti al mondo, cari amici con i quali ho passato bei momenti, e invitarli a correre con il giusto ingaggio e dando loro ciò che è dovuto. Metterei insieme uno streaming da paura, magari con Guido Meda al commento e una moviola per i passaggi più spettacolari. Insomma, parliamoci chiaro: quando vedi 32 scalmanati con 32 macchine da 600 a 1000 cavalli che si prendono a gommate e portierate con classe, non c'è nulla di più emozionante. Un singolo evento del genere sarebbe una cosa da wow factor con migliaia di spettatori. E per fare un campionato? Basterebbero sei tappe, un maxischermo, dei giudici giapponesi, il sottoscritto che gareggia e si diverte, 2500 Euro per l'iscrizione a tutto il campionato, 500 Euro per singola gara. Tutto questo con solo 200000 Euro a carico di uno sponsor serio. Queste cifre non sono folli, anzi..."

La tuta kimono di Federico fa sciogliere anche i giapponesi...

E anche a livello di comunicazione ci sarebbe un bel lavoro da fare. Purtroppo a volte siamo latitanti in tal senso...
"Sì, ci sarebbe da fare una bella promozione e il più possibile diversa dal solito. In Italia abbiamo in effetti un problema. Sembra che ci sia quasi paura a gestire un ufficio stampa e a spammare gli eventi. Gli americani invece ci sguazzano e pure i giapponesi sono forti a modo loro. Sai chi è bravo a fare comunicazione, secondo me? Il Circo Orfei. Loro tappezzano in tutte le città i loro cartelloni, e finisce che vedi la locandina talmente tanto da convincerti che è il caso di andarci. E ti rimangono impressi per sempre. Noi sembriamo imbarazzati a fare promozione perché vogliamo fare i fighi, no? Scusa se insisto, ma a me bastano due o tre telefonate e in circuito arrivano centinaia di persone. Non è impossibile. In ogni caso prenderemo piede, ne sono certo".

Federico con Andrea Caldarelli, altro forte pilota emigrato in Giappone

In generale come vedi il mondo dei motori, oggi?
"Tutto il motorsport è bellissimo. Personalmente adoro il WRC, il Rally Cross, guardo la F1, sono innamorato come tanti della Moto Gp. Tento di seguire tutto quello che posso. Mi piace anche l'ambiente, ma è molto crudo, strano, difficile, come in tutti i campi. Gareggio e viaggio nonostante la consapevolezza che più puro sei più prendi delle sonore botte in faccia. Bisogna avere la tutina da squalo per difendersi, talvolta".

mercoledì 13 gennaio 2016

Paolo Collivadino: l'ortopedico volante

Paolo Collivadino (nato il primo giorno di gennaio nel 1968, a Cuneo) è, come lo definisce la voce storica di Monza Luigi Vignando, l'ortopedico volante. Il suo lavoro come chirurgo ortopedico lo rende ai miei occhi un esempio di come a volte nel motorsport ci siano delle storie interessanti anche lontane dai giganteschi e accecanti riflettori dei campionati mondiali. Chissà se un giorno Paolo aggiungerà davanti al suo nome la dicitura "Dr.", come fece il Dr. Jack Miller a fine anni '90 con la sua partecipazione a tre edizioni della 500 Miglia di Indianapolis...



Nel frattempo però posso chiedergli se ci sono dei punti in comune tra la passione per l'ortopedia e quella per le corse... "Direi che prima di tutto è la forma mentale ad essere la stessa. L'approccio verso entrambe le cose ha tanti punti in comune, come la precisione, la preparazione e l'esperienza dettata dall'allenamento. Nel mio lavoro devo rimettere in sesto le persone e queste capacità sono fondamentali, e mi sento di dire che per correre servono le stesse cose. In entrambi i campi, poi, ci sono poi le innovazioni tecnologiche e nuovi materiali. In questo caso faccio un paragone... In ortopedia esistono i sistemi di navigazione, ma onestamente preferisco seguire le guide classiche per eseguire un'operazione; come del resto nel motorsport esiste la telemetria per meglio comprendere la monoposto, ma alla fine il sedere ce lo mette il pilota. Insomma, evviva la tecnologia ma senza diventarne schiavi!"

"Sognare non costa nulla", mi ricorda Paolo. Nell'ambito del motorsport questa frase è un'arma a doppio taglio, perché da un lato è proprio il sogno di correre a muovere le scelte e le carriere dei piloti; dall'altro sono le monete sonanti a trasformare i desideri in realtà da corsa. Paolo è uno di questi sognatori in cerca di un solido futuro, e per il 2016 il progetto è davvero interessante.

"Il mio obiettivo è di correre nel F2 Italian Trophy. Ci sono ancora alcune tessere mancanti, e sono già alla caccia di sponsor per poter portare in pista una Dallara F308. Credo che il campionato sia uno dei migliori come rapporto qualità/prezzo. Oltre alle varie piste italiane c'è anche la trasferta a Hockenheim, e ci saranno presenze tv costanti. Credo che nella scelta del campionato bisogna guardare alle proprie esigenze - il costo, le ore di guida, il parco partenti - e quelle dei potenziali sponsor, cioè la copertura mediatica con dirette e differite televisive".



C'è un sogno ancora più di grande portata, per Paolo. "Avrei un altro pallino - diciamo l'obiettivo finale - cioè correre a Le Mans. Sarebbe davvero il massimo. Del resto io credo che i prototipi, insieme alle monoposto, siano le vetture da corsa per eccellenza. Per quest'anno la F2 è la scelta migliore, anche se ho sondato pure la possibilità di correre coi prototipi. La F2 per altro costa la metà di una stagione nel CIT quindi per me andare lì è una scelta dettata dalla logica sia dal gusto personale".

Paolo Collivadino ha partecipato nel 2015 in Formula Junior (con un secondo posto a Monza), nella Mitjet Italian Series e nella 3 ore di Monza dell'ECC di Sergio Peroni. Insomma, su tre vetture differenti e in campionati totalmente diversi tra loro. Al di là di questo, tuttavia, sorge la solita domanda: il motorsport italiano a che punto è?
"In generale nel panorama italiano delle corse a volte vengono prese decisioni discutibili, come ad esempio la scelta dei circuiti, con piste magari non adatte a determinate formule. Io ho cominciato a frequentare l'ambiente nel 2006 e mi sembrava tutto ok, poi l'ho visto peggiorare. Magari ho le fette di salame sugli occhi, ma ho l'impressione che ci siano troppe discussioni e troppi debiti lasciati in giro. Posso dire con orgoglio che non è il mio caso. Purtroppo anche la Formula Junior, che è nel mio cuore, non naviga in buone acque visto che manca la volontà dell'ACI Milano di riprendere le sue redini per regalarle un futuro roseo".



Nel 2016 ci sarà anche uno spazio fisso per Paolo nella trasmissione televisiva Griglia di Partenza, condotta proprio dall'amico Vignando.
"Diventerò opinionista fisso dopo le presenze dello scorso anno e ciò sarà anche positivo per chi vorrà sponsorizzarmi, visto che la trasmissione è una bella vetrina con un'audience corposa. Mi trovo bene davanti alle telecamere e sarà ancora una bella esperienza nella quale conto di fare una buona impressione".

Ricordiamocelo, ancora: sognare non costa nulla. L'importante è crederci.


sabato 9 gennaio 2016

Giorgio Sernagiotto: il viaggio verso Le Mans continua

Giorgio Sernagiotto è in una fase importante della propria carriera nel motorsport. Il pilota nato ad Asolo il 28 luglio del 1981 ha corso nel 2015 una promettente stagione nell'ELMS, insieme a Roberto Lacorte e a bordo di una Ginetta LMP3 portata in pista dal Villorba Corse.



L'obiettivo di Giorgio e di Roberto è chiaro: correre a Le Mans. Il programma dei due è nato quasi un lustro fa, e sta procedendo consapevolmente attraverso fasi ben definite. Dopo due anni di CN nel campionato prototipi V de V, nel 2015 è finalmente arrivata l'opportunità di correre con una vettura LMP3, categoria pensata per formare i piloti che ambiscono a sedili nelle LMP2 e nelle LMP1. E nel 2016 sarà ancora ELMS, con un importante cambio di rotta ormai definitivo. "Correremo con Ligier in questa stagione, è deciso" - dice Giorgio - "Questa novità è in prospettiva allettante, sia per il 2016 sia per il futuro, perché potrebbe essere il trampolino di lancio per un 2017 in LMP2 sempre con Ligier. La trattativa con Ginetta è andata comunque avanti fino a un certo punto, ma alla fine abbiamo optato per la casa francese. Ligier ha dimostrato fin da subito serietà, e la lunga esperienza che ha con LMP2 e CN è un vantaggio niente male".

Giorgio, racconta come hai vissuto la stagione 2015.

"Il programma si era concretizzato tra la fine del 2014 e l'inizio del 2015. Gareggiare nell'ELMS con una LMP3 ci è sembrata una bella opportunità, vista la bontà dei regolamenti e l'ottima esposizione mediatica. Tuttavia l'unico costruttore era Ginetta e in un certo senso siamo stati costretti a acquistare da loro una vettura. Fermo restando che sono dei bravi ragazzi e ottimi tecnici, e che sulla carta tutto sembrava pronto, abbiamo dovuto affrontare notevoli difficoltà per cominciare la stagione. Avevamo ordinato la vettura per marzo, in modo da partecipare ai test collettivi. Invece è arrivata a maggio, pochissimi giorni prima dell'appuntamento a Imola. Questo ritardo ci ha fatto saltare i test e la gara di Silverstone.
A Imola siamo stati azzoppati da un guasto alla pompa della benzina, ma in ogni caso siamo andati al buio perché in sostanza in quella gara abbiamo fatto lo shakedown della vettura. Viste le premesse, abbiamo deciso di puntare tutto sull'affidabilità, e già al Red Bull Ring - (la gara successiva) - siamo andati sul podio".

Il secondo posto al Paul Ricard

Le cose sembravano migliorare...

"Già, ma poi c'è stata un'altra sorpresa. Ginetta aveva realizzato un aggiornamento con un peso inferiore di 75 kg rispetto alla versione precedente della vettura. Eravamo piuttosto elettrizzati dalla cosa, fino alla scoperta decisiva. Dovevamo versare 50000 sterline per allinearci. Io, Roberto e Raimondo Amadio abbiamo deciso che sarebbe stato immorale pagare quell'upgrade. In pratica abbiamo scelto di essere più lenti di 1,5 secondi al giro rispetto agli altri, con il rischio di passare anche per i bolliti di turno. Tuttavia, puntando sull'affidabilità, sulla tattica e sulla gestione dei consumi abbiamo colto un altro risultato positivo a Le Castellet, gara nella quale ci siamo fermati ai box una volta meno degli altri. In fondo, si è verificato quello che sostengo da sempre: al di là del mezzo, se si fanno le cose per bene emergere è naturale".

La Ginetta 2015 usata da Giorgio e Roberto Lacorte

La collaborazione con Roberto Lacorte risale al 2012. Tu sei il driver coach di Roberto, e con lui hai instaurato (come con Villorba) un rapporto ottimale, sia in termini di fiducia sia per tutto ciò che riguarda la pista. Come ti senti a condividere l'abitacolo con lui?

"In generale condividere l'abitacolo non è un problema, e del resto l'ho sempre fatto anche con i monomarca. Con Roberto sono chiaramente io ad avere più esperienza e tra i miei compiti c'è anche quello di ragionare con lui su come si comporta la macchina, e nel contempo di contribuire all'accrescimento della sua esperienza. Roberto è migliorato tantissimo, senza dubbio. Correre insieme non è affatto complicato, perché in sostanza gli ho involontariamente trasmesso uno stile di guida pressoché identico al mio. Ciò è confermato anche durante i briefing: nel 99% dei casi abbiamo le stesse sensazioni. Questo aiuta senz'altro anche gli ingegneri. C'è solo una piccola differenza di altezza fra di noi, ma ci scherziamo su..."

Hai corso in tante categorie diverse in carriera. Monomarca, formule e ora prototipi. Il passaggio alle LMP3 l'hai sentito?

"Nel passaggio dai monomarca GT ai prototipi la differenza si sente. Sono due dimensioni completamente diverse, con i prototipi che hanno senz'altro una maggiore velocità in curva. Ci sono diverse traiettorie, diversi punti di frenata, diversi tempi di rilascio... Direi quasi che è piacevole essere tornato, in un certo senso, alle sensazioni che provavo nel mio periodo con le formule. Mi sono sentito di nuovo bambino! Senza contare che il discorso tecnico è più eccitante. Nel monomarca non si può toccare nulla o quasi, mentre con i prototipi puoi creare, ragionare, divagare con l'ingegnere. Mi piace tanto lavorare sui dettagli, su come far fruttare il passo gara, su come ottimizzare i consumi. Più le variabili sono ampie più è interessante gestire gli stint di guida. L'endurance è in grado di dare molte soddisfazioni da questo punto di vista. Per altro la LMP3 è la soluzione ideale al momento, visto che passare direttamente alle LMP2 ci era sembrato prematuro".

Cosa ne pensi del mondo del motorsport attuale?

"Lo dividerei in tre dimensioni differenti. Ci sono gli Stati Uniti, mondo del quale rispetto tantissimo la visione; lo trovo per certi versi più intelligente e in salute. Poi c'è il contesto europeo, con l'endurance in crescita e con l'interesse sempre positivo delle case costruttrici (per altro è giusto dire che in certe situazioni è difficile farne a meno). Sui circuiti europei c'è solitamente tanta gente a vedere le gare, e c'è una passione serena, con l'amore per il motorsport che viene esercitato senza dover per forza leggere tra le righe e senza dietrologie. Mi è capitato in molti casi di trovare appassionati che mi riconoscono e che sanno del mio lavoro nella concessionaria di famiglia. Insomma, si sono documentati! Fare questi incontri è sempre un piacere e ti fa sentire apprezzato. Infine c'è il mondo italiano del motorsport, pervaso dalla frustrazione tipicamente nostrana e con la tristezza delle tribune vuote. Abbiamo perso la nostra identità, la passione e il calore. Nessuna accusa in particolare; tuttavia mi sento di dire che è necessario per i piloti fare qualche gara in più all'estero e per gli organizzatori confrontarsi con altre realtà più lontane. Molto viene anche dai media: con la focalizzazione dell'interesse solo su pochi temi è difficile trovare lo spazio, ma ci sarebbero tante storie da raccontare anche da noi".

Giorgio Sernagiotto in compagnia di Max Gazzè



Secondo te gli appassionati riescono a identificarsi con i piloti odierni?

"Come detto, ci sono piloti da rispettare e con storie interessanti anche fuori dai soliti campionati. Se però ad esempio prendiamo i piloti attuali della F1 sembra che tutti abbiano una passato e un presente standard. Io non riesco a impersonificarmi in loro. I non addetti ai lavori difficilmente riescono a riconoscersi in questi giovanissimi la cui carriera è già stata scritta. Mi piacerebbe vedere ancora personalità forti come quelle di Vittorio Brambilla, Jackie Stewart, Nigel Mansell".

Il tuo ritmo di vita è piuttosto serrato, quando vai a gareggiare...

"Sì, è così. Andare a insegnare come coach e come istruttore o correre in pista e magari il lunedì essere in officina non è come andare in gita. C'è pressione, c'è la necessità di stare attento a tutto. Il ritmo è impegnativo, ma insegna a vivere. Per altro nella nostra concessionaria tocchiamo con mano l'atmosfera reale del nostro Paese. Molti clienti hanno sofferto, e ciò ha permesso a me di fare un bel bagno d'umiltà. Andare a correre mi fa sentire un privilegiato, e non solo perché era quello che sognavo di fare quando ero piccolo. Sono rispettato nell'ambiente e posso correre a testa alta, ma capisco anche che bisogna avere equilibrio nella vita, dando importanza alle cose che hanno davvero valore".

venerdì 8 gennaio 2016

200 races in a year: the wonderful chase of Bryan Clauson


This is a story of motorsports coming far, far away from Europe and from Italy (my country). This is a story that reminds the glorious past of racing, when many drivers jumped in different cars on every weekend. This is the story of Bryan Clauson.

Let's start with a few information about him... Bryan Clauson was born on June 15th (1989) at Carmichael (California), but he spent his childhood at Noblesville (Indiana), 30 miles from the Indianapolis Motor Speedway, the most famous oval track in the world. In 2016 Bryan will try to achieve an enormous target. Our man will start over 200 races from January 1st to December 31th. On average he will run a race every 44 hours.

The official name is "The Chasing 200 Tour - Circular Insanity". Finding the meaning it's simple: Bryan will race almost entirely on ovals, mostly in dirt tracks.

Bryan Clauson has already won the USAC National Midget Series (two times), the USAC National Sprint Car Series (twice) an the USAC National Drivers Championship (three times); In 2016 he will race in different championships, with winged cars and non-winged ones. But it will be there a notable exception. In May the driver from Noblesville will attempt the qualification for the 100th Indy 500. The Jonathan Byrd's Racing will be his team for the entire season, but in Indianapolis they will be also helped technically by KVSH.



"My main goal for 2016 is to complete the Chasing 200 tour" - says Bryan - "I have over 200 races scheduled for 2016 that include many of short track racings biggest events in all different forms of dirt track racing. It will be a tall task but a lot of effort and planning has gone into this season, and I am looking forward to racing more than ever before!"



After his two previous experiences, Clauson will attempt the qualification at Indy also in 2016. For him is not a normal race...
"Racing the Indianapolis 500 is one of the greatest achievements of my racing career. Indy is such a special place and the 500 is such a special event to be a part of. I grew up around the area, so May has always been a special month my entire life. In terms of getting the opportunity, the first year I ran (2012) we had to work really hard to put together the funding to make it happen. 2015 was a bit of a different story. The Byrd family found me in 2014 and put together a comprehensive platform that can be seen across all of our racing endeavors. I really didn't do any work on the money side of things for 2015".


Clauson has already experienced Indycar, so he can give a trusted opinion to judge the series - now growing in Europe thanks to the increasing interest brought by the media. "Indycar has become the fortunate beneficiary of a lot of young talent that left the European Ladder. I think the young talent in Indy Car is as good as its ever been. I believe to some degree thats also what hurts Indy Car in the American Demographic. There are several talented young americans in the field, the problem is they grew up racing in Europe. People in the U.S. have no connection. That’s where NASCAR got it right when it was booming: people were tuning in to see the people they grew up watching at the local track on Saturday night. In Indycar it doesn't happen anymore".

Bryan Clauson raced in NASCAR in 2008 (Nationwide Series), with some good results like the Pole Position at Daytona (in the Winn-Dixie 250 Powered by Coca-Cola) and a fifth place at Kentucky Speedway, both reached with the Ganassi team. "[NASCAR] It’s not anything I’m actively pursing. Obviously if the right opportunity came along I’d love to take another crack at it. I feel like I have some unfinished business, but I am extremely happy doing what I’m doing. I make a comfortable living and completely enjoy going to the race track and strapping in each and every night!"

In the last five years Bryan achieved his best results. He's not only a championship frontrunner, but also a great single-race winner. His win at the 2014 Chili Bowl (named also the "Super Bowl of Midget racing" and attended by big names of NASCAR, Indycar and NHRA) was one of the brightest point in his career. An event like this is not present in the European panorama of Motorsports, while in North America is not the only one. Sure the tipology of racing is quite different, but from the money "point of view" Europe and US are similar. Here's the thought of Bryan about the topic: "I think motorsport is like anything in life. It's all about timing. The right performance in front of the right person in the crowd could be life changing. There are only so many professional seats left in motorsport and they continue to dwindle. The sport has evolved into more of a business and money has become as much of a prerequisite as talent is in a lot of cases. At the end of the day you have to race because you love to race. If you get caught up in worrying about the bright lights and superstardom, it makes the trek to the top that much more grueling. I prefer to race without that type of pressure".




It will be an incredible year for Bryan, not only on the race tracks but also in his normal life. He will travel a lot, staying far from home for a long time. "I haven’t actually counted the days I will be gone, but I’ve grown accustomed to life on the road. We will have an RV that will serve as our “home away from home” and will make being gone a little bit easier. You learn to adapt as it is part of the job, but having my dogs (Chevy has a Twitter account...) and my girlfriend Lauren on the road with me full-time certainly makes being away a lot easier".

Thanks, Bryan. My blog was born to tell wonderful motorsport stories like this. And even if this one is literally far from my country, it's still a good story.








*** Thanks for proof-reading, Milly_Sunshine! ***

giovedì 7 gennaio 2016

200 gare in un anno, il grande obiettivo di Bryan Clauson



Questa è una storia di motorsport che si sviluppa molto lontano dalla nostra arcigna Europa. Questa è una storia che ricorda in qualche modo il passato, quando molti piloti saltavano da una macchina all'altra in ogni weekend disponibile. Questa è la storia di Bryan Clauson.

Per chi non lo sapesse (e, credetemi, immagino che in Italia tanti non abbiano idea di chi sto parlando) Bryan Clauson è uno statunitense nato il 15 giugno del 1989 a Carmichael, in California e che ha vissuto a Noblesville in Indiana, a poco più di 30 miglia di distanza dall'ovale da corsa più famoso al mondo. Perché ne sto parlando? Bèh, perché Bryan vivrà un 2016 da record. Il nostro si è posto l'obiettivo di correre oltre 200 corse in questo anno solare. Di media, una gara più o meno ogni 44 ore.

Il nome ufficiale è "The Chasing 200 Tour", ma quello che più fa capire di cosa si tratta è... il sottotitolo, definito "Circular Insanity" vista l'abbondanza di circuiti ovali nei quali il pilota americano correrà.



Bryan Clauson ha vinto per due volte la USAC National Midget Series, altrettante volte la USAC National Sprint Car Series e in tre occasioni l'USAC National Drivers Championship; proprio queste tipologie di gara (su ovali sterrati) lo terranno più impegnato nel 2016. Sarà presente nei maggiori campionati sanzionati da USAC, oltre che negli eventi del World of Outlaws e correrà con mezzi Winged e Non-Winged.



Durante l'anno, però, ci sarà un altro importante traguardo da raggiungere: la qualificazione alla 500 Miglia di Indianapolis con il Jonathan Byrd's Racing, struttura che usufruirà della consulenza del team KVSH proprio per l'occasione. Lo stesso team sarà comunque al suo fianco durante tutta la stagione.

"Ho oltre 200 corse in programma per il 2016, con un calendario che mi darà modo di correre in molti dei maggiori eventi di short track statunitensi, per altro in differenti campionati. Si tratta di un obiettivo piuttosto ambizioso, ma ho messo tutta la mia anima e profuso ogni sforzo per pianificare tutto al meglio. La mia voglia di correre non è mai stata così alta come oggi", dice Bryan. La sua avventura sarà vissuta su tutto il territorio statunitense, con una sicura puntata sull'asfalto dell'Indianapolis Motor Speedway a Maggio.




"Correre alla 500 Miglia è già stato uno dei più grandi traguardi della mia carriera. Indianapolis è un luogo speciale e l'evento ha una portata gigantesca. Sono cresciuto in quell'area, quindi quando il mese di Maggio è sempre stato centrale nella mia vita. La prima volta che corsi, nel 2012, lavorammo molto e duramente per trovare i fondi necessari per partecipare, e non fu facile. Mentre nel 2015 è stata una storia differente. L'anno prima la famiglia Byrd cominciò ad aiutarmi, e fu così che mettemmo insieme la piattaforma sulla quale poter costruire il progetto attuale, senza dover da parte mia lavorare sugli sponsor come in precedenza".

Clauson ha quindi toccato con mano il mondo Indycar, e può quindi dare un parere autorevole sul maggiore interesse per la serie che - pare - ci sia in Europa e sul seguito reale che ha negli States. "La Indycar è diventata la fortunata beneficiaria di un sacco di giovani talenti che hanno lasciato le competizioni europee, e penso che attualmente la griglia della Indycar sia tra le migliori di sempre. Tuttavia credo anche che in una certa maniera ciò la renda meno attraente verso gli appassionati americani. Ci sono molti giovani talenti qui, ma il problema è che sono cresciuti agonisticamente in Europa. Manca quindi una connessione con i fan statunitensi. Ed è qui che la NASCAR ha trovato la gallina dalle uova d'oro: le persone accendono la tv per guardare gli stessi piloti che hanno visto nelle piste locali il sabato notte, mentre per la Indycar questo passaggio non esiste quasi più".

La storia tra Clauson e la NASCAR è stata breve, anche se con alcuni punti esclamativi. La pole nella Nationwide Series a Daytona nel 2008 (precisamente la Winn-Dixie 250 Powered by Coca-Cola) e il quinto posto) e il quinto posto al Kentucky Speedway nello stesso anno sono stati i suoi migliori risultati, raggiunti con il team di Chip Ganassi. "Non sto attivamente cercando una chance in NASCAR, ma ovviamente sarei felice di correre ancora nella categoria se capitasse l'opportunità giusta. Mi sento come se avessi ancora un conto aperto in questo caso, ma sono comunque estremamente felice di concentrarmi su quello che attualmente sto facendo, perché mi diverto e sono competitivo. Insomma, mi godo tutta la vita fuori e dentro la pista".

Negli ultimi cinque anni Bryan ha raggiunto i suoi migliori risultati. Non si tratta solo di campionati, ma anche di prestigiose gare come il Chili Bowl, definito anche come il Superbowl delle corse Midget e frequentato da affermati piloti provenienti dalla NASCAR, dalla NHRA e dall'Indycar. Sull'albo d'oro della corsa il suo nome è affiancato all'anno 2014. Il mondo delle Sprint e delle Midget è però lontanissimo dalle abitudini europee del Motorsport, e di conseguenza la presenza mediatica è quasi nulla. Ma questi mondi sono davvero così diversi? Assolutamente no. Un esempio solo per tutti: l'importanza dei budget. Ecco il Clauson pensiero sull'argomento. "Penso che il motorsport sia come qualsiasi altro ambito della vita. Il contesto e il tempo sono le cose che contano. La performance giusta di fronte alle persone giuste tra la folla può cambiarti la vita. I sedili pregiati, che ti portano al vero professionismo, sono pochi e per altro continuano a diminuire. Il motorsport si è evoluto in una forma come un'altra di business e i soldi sono diventati in tanti casi un pre-requisito fondamentale tanto quanto lo è il talento. Alla fine però i piloti corrono perché amano correre, e se un giovane pilota dovesse preoccuparsi di diventare una stella e di stare sempre al centro dell'attenzione, allora la sua ascesa verso il top diventerebbe estremamente faticosa e enormemente stressante. Io preferisco pensare alle corse senza mettermi troppa pressione addosso."





Sarà un 2016 a mille all'ora, non solo in pista ma anche tra una gara e l'altra. Chissà se Bryan ha contato i giorni fuori casa... "Non ho davvero contato i giorni in cui sarò via, ma non è un problema: sono cresciuto praticamente on the road. Noi abbiamo un caravan che fa le veci della nostra casa quando siamo in viaggio, quindi questo facilita molto le cose. Imparare ad adattarsi fa parte del lavoro, non c'è dubbio. E in ogni caso la mia findanzata Lauren e i miei cani (dei quali uno, Chevy, ha un account su Twitter..) mi seguono sempre in questa vita nomade. La loro presenza è fondamentale per me."

Grazie, Bryan. In fondo questo blog è nato anche per raccontare belle storie come queste. Un po' lontane e fuori dal tempo, ma pur sempre belle storie.







Chili Bowl 2014 from Loudpedal on Vimeo.

venerdì 1 gennaio 2016

Dakar 2016: pronti all'azione

Ci siamo. La stagione automobilistica 2016 apre i battenti con la 37° edizione della Dakar, il rally raid endurance più conosciuto al mondo. Si tratta dell'ottava edizione sudamericana, dopo l'abbandono delle storiche locations africane che hanno portato onore e polemiche alla gara organizzata da ASO.

351 iscritti, purtroppo in riduzione rispetto al passato, prenderanno il via da Buenos Aires il 3 gennaio, dopo le consuete verifiche tecniche e le presentazioni ufficiali. Tuttavia il minor numero di partecipanti è compensato dall'arrivo di alcuni mostri sacri del motorsport, pronti a sfidarsi negli aspri territori dell'Argentina e della Bolivia fino al 16 del mese, ultimo giorno di gara con l'arrivo a Rosario.



Sebastian Loeb, Mikko Hirvonen e Martin Prokop, rispettivamente sotto le insegne di Peugeot, Mini e Toyota, sfideranno il campione 2014 Nasser Al-Attiyah e gli altri favoriti di default come De Villiers, Peterhansel, Sainz, Roma e Robby Gordon. Seconda volta in auto, invece, per Cyril Despres (cinque volte vincitore con le moto) e seconda edizione anche per Romain Dumas (ufficiale Porsche nel WEC).

Emiliano Spataro (attivo nel Turismo Carretera), Xavier Pons (ex WRC), Adam Malysz (fuoriclasse nel Salto con gli Sci) e i fratelli Coronel sono annoverabili tra le star internazionali al via nella categoria auto, mentre per gli italiani ci saranno Eugenio Amos (Polaris), Gianpaolo Bedin (Audi), Michele Cinotto (Polaris) e Stefano Marrini (Mitsubishi).

Marrini, classe '74 nato a Cesa (Arezzo), gentilissimo nel rispondere a qualche domanda prima della partenza per l'Argentina, ha riassunto con le giuste parole quello che sente prima di un appuntamento così importante.

Stefano Sinibaldi e Stefano Marrini


"Ho assolutamente un unico obiettivo... Arrivare in fondo alla gara! Non sarà facile, dovessero capitare condizioni esasperate come ad esempio nella seconda tappa dell'edizione 2015. Ci furono tanti, tanti km di fesh fesh quasi insuperabile" (il fesh fesh è il termine usato per indicare la finissima sabbia che diventa come fanghiglia quando si accumula, e che fa scivolare quando è invece poggiata sulle pietre, una polvere che spesso fa incagliare i concorrenti della Dakar, ndb).

"Per me sarà la terza partecipazione qui, e insieme a Stefano Sinibaldi correremo con una Mitsubishi Pajero T2, lontana dalle prestazioni che hanno certi prototipi che ambiscono alla vittoria, dotati di un rapporto peso potenza decisamente diverso. Ma non è mia abitudine tirare fuori scuse particolari, e quindi alla luce dell'obiettivo prefissato tireremo fuori il massimo dal nostro mezzo, andando avanti di chilometro in chilometro in attesa di insidie e ostacoli da affrontare... Magari improvvisando! Sarà comunque un piacere correre nuovamente in Sud America. Il pubblico è meraviglioso, sembra quasi che la Dakar sia lo sport nazionale, e in generale è una gara molto sentita. C'è tanto seguito e le le persone sono calorosamente attratte da tutto ciò che accade dentro e fuori la corsa".

"Fisicamente sono pronto. Essenzialmente mi preparo andando in bici (Stefano è attivo nel settore ciclismo, essendo il fondatore del marchio Atakama, ndb) e negli ultimi mesi anche con esercizi da palestra, che svolgo alle 6 del mattino, prima di occuparmi dei miei impegni professionali. In ogni caso non conta molto la potenza, o l'esplosività. Piuttosto è fondamentale la capacità di resistere ore e ore sia allo sforzo derivato dalla guida sia all'elevato calore".





Tra i camion continuerà il dominio russo che perdura da tre edizioni? Airat Mardeev, l'ultimo vincitore di categoria in ordine cronologico, partirà con i favori del pronostico, ma dietro di lui Gerard De Rooy, Federico Villagra, Ales Loprais, Hans Stacey, Eduard Nikolaev, Pep Vila e Jan Lammers (sì, proprio l'ex F1) saranno pronti a dare il meglio per battere lui e i mezzi Kamaz. De Rooy, Loprais e Vila partiranno per altro con un Iveco, altro angolo d'Italia presente alla Dakar.


Iscritto nella categoria quad, il sessantenne Franco Picco (Can-Am) sarà ancora una volta al via di questa gara, con l'italo-argentino Juan Carlos Carignani, nato a Cordoba da genitori italiani, su Yamaha. I piloti arrivati a podio nel 2015, cioè il vincitore Sonik (polacco), l'argentino Gonzalez Ferioli e il boliviano Nosiglia, saranno ancora in lizza.


Nella categoria moto ci rappresenteranno Alessandro Botturi, Paolo Ceci, Jacopo Cerutti, Simone Agazzi, Manuel Lucchese, Toia Diocleziano, Federico Ghetti, Francesco Catanese, Alessandro Barbero e Livio Metelli. Il detentore del titolo 2014 Marc Coma non sarà in gara, dopo aver annunciato il ritiro dalle competizioni; sarà però in Argentina come Direttore Sportivo della Dakar, e quindi nell'organizzazione.