mercoledì 27 aprile 2016

intervista a Ronnie Valori: "Pronto a farmi valere!"

A volte penso a quanto siano idolatrati gli sportivi dei più grandi sport di squadra, rispetto ai protagonisti delle discipline individuali. E non trovo la ragione per cui non si possa almeno equiparare la dignità di questi ultimi. Perché, specie nel motorsport, far quadrare i conti all'inizio della stagione può essere piuttosto complicato.

Ronnie Valori è un pilota che nel corso delle passate stagioni ha sempre dimostrato di essere sul pezzo. Va forte, ha passione. Ma purtroppo, come tanti altri colleghi, non ha il portafoglio magico né un procuratore alla Ibrahimovic. Così, quando qualche giorno fa ha annunciato il suo ritorno nel Campionato Italiano GT, sono stato felice, felice che abbia trovato - seppur dopo mesi di lavoro e telefonate - un posto nel motorsport.




Nel 2016 Ronnie andrà in pista con una Lamborghini Gallardo (classe GT3) del team genovese Cars Engineering, condividendo l'abitacolo con Ferdinando Monfardini, altro pilota che con le Gran Turismo ci sa fare.
«Quest'anno è stata dura, per quanto riguarda il budget. Ma finalmente si è concretizzata l'opportunità e ora non vedo l'ora di cominciare il campionato» dice Ronnie. «Io e Ferdinando Monfardini, che mi ha dato una mano e che ringrazio, puntiamo a ottenere buoni risultati fin da subito e sulla carta abbiamo tutte le potenzialità per farlo. Per noi sarà molto importante essere tra i primi, i nostri sponsor spingono molto su questo punto».




Non sarà comunque facile, con una griglia nel Campionato Italiano mai così competitiva e ben fornita.
«Il Campionato Italiano GT è ormai il punto di riferimento in Italia. Con così tante iscrizioni e con nuove vetture in ingresso sono state addirittura formate 4 classi (Super GT3, GT3, Super GT CUP, GT CUP), senza contare anche l'inserimento delle GT4. Il livello è altissimo e la rinascita della serie continua. Spero che questo momento possa durare a lungo, ma dopo tanti anni ho capito che fa tutto parte di cicli».

E qui viene toccato il tema più spinoso, quello dei costi.
«Tutti sappiamo quante macchine ci sono nel Blancpain GT e che il livello tecnico di quel campionato è davvero impressionante. Ma l'Italiano non è poi tanto diverso. Il livello si è alzato tanto anche qui. Le macchine costano parecchio e costeranno sempre di più, fino al punto in cui molti le riterranno insostenibili da gestire. Guardiamo alla numerazione: una volta c'erano le GT1, le GT2... Ora siamo alle GT3, ma anche l'interesse per le GT4 è salito. Tuttavia una GT3 odierna non costa meno di una GT1 dell'epoca. L'evoluzione va avanti, ma per rendere sostenibile tutto il discorso GT a un certo punto dovremo - di nuovo - tornare indietro».


La McLaren con la quale Valori, Balzan e il giapponese Mori
hanno gareggiato nella gara di Monza del Blancpain 2015.

Il livello tecnico del Campionato Italiano è quindi ai suoi massimi dopo tanti anni. È un bene o un male?
«È un male, soprattutto per il portafoglio. Oltre al costo dell'iscrizione e delle vetture, poi ci sono gli ingegneri, se non hai l'hospitality all'ultimo grido sei un poveretto, poi rispetto al Blancpain è anche più difficile ottenere dei pass per il pre-griglia, cosa che sarebbe positiva anche per gli sponsor. Vorrei che non fosse l'ultimo mandato, ma sta diventando tutto molto, molto costoso».

Resta il fatto che nelle GT approdano molti piloti di gran livello che non trovano più spazio nelle formule.
«Per arrivare in F1 servono budget infinito e il giro giusto, a sperare nessuno ti prende. Nelle GT ci sono buone opportunità per diventare dei professionisti, non solo come piloti titolari ma anche come coach driver. Ci sono tantissimi esempi in tal senso».




Con le formule hai avuto delle belle esperienze (Formula Azzurra, F3), prima di passare ai prototipi e poi alle GT. Ora c'è il boom della F4...
«In sè è molto positivo, ci sono tante macchine. Ma quanti italiani ci sono in F4? Davvero pochi. Doveva costare pochissimo, doveva essere una semplice categoria di passaggio dai kart verso le formule più potenti. Però sono già arrivati i superteam con dei tendoni giganteschi e piloti con budget altrettanto importanti. Forse con minori costi anche i piloti italiani potrebbero più facilmente iscriversi e partecipare a un campionato del genere. Forse è anche una questioneculturale. Sono convinto che se il motorsport italiano morisse nessuno batterebbe ciglio, perché io vedo e sento parlare solo di calcio e dei soliti noti. Invece mi piacerebbe che si parlasse di più del nostro mondo».

Parole da appassionato vero.
«La passione ora è fortissima, e sicuramente con mio papà Ivan non poteva andare diversamente da così. Per me ha fondato anche la squadra, anche se all'inizio non volevo salire sui kart. Mi sono convinto solamente dopo aver visto una gara a Borgo Ticino; da allora non ho più smesso e oramai il motorsport è per me una dipendenza! Ti giuro che a volte sento che mi mancano dei pezzi se non mi informo sulle gare. Non solo per sapere come vanno le corse, ma anche per guardare i risultati di chi ha corso con me negli anni passati. C'è sempre una sorta di vicinanza, in fondo».

Quando tornerai in pista quale sarà il momento nel quale sentirai più adrenalina?
«Sicuramente poco prima della partenza. Il momento in cui vedo i meccanici intorno alla macchina che si spostano, lasciandomi da solo, è sempre da cuore in gola. L'adrenalina in quel momento picchia forte e si esaurisce solo al momento dello start, quando tutti i duemila pensieri che ho in mente si cancellano lasciando spazio alla concentrazione».



martedì 26 aprile 2016

I campionati con meno di 15 partenti hanno ragione di esistere?



AVVERTENZA: Questo post non è rivolto a nessuno in particolare. In realtà è rivolto a tutti. Spero che sia una riflessione utile per chi ha potere di gestire e di comprendere meglio il motorsport, visto che nella mia posizione posso solamente esprimere un'opinione personale.

Tutti sappiamo che l'automobilismo non è come il calcio, il tennis o il ciclismo. Non esiste una classificazione universale dei campionati, non esiste un sistema di retrocessione o promozione, non ci sono ranking realistici grazie ai quali possono essere strutturati classi, categorie e risorse. La FIA stessa non ha potere sulla possibile razionalizzazione del panorama motoristico, e talvolta pare lei stessa in confusione sulla marea di sigle in circolazione.

Nel motorsport ci sono organizzatori e federazioni, che si occupano di stilare calendari e campionati pescando iscrizioni dagli interessati, possibilmente puntando a numeri il più possibile alti. I numeri, come è evidente, non sono sempre gli stessi: variano a seconda dell'andamento economico, degli interessi dei singoli, delle opportunità presenti. Esistono campionati fin troppo frequentati, altri con un tetto prestabilito in quanto a iscrizioni e altri ancora (purtroppo) poveri di contenuti.

Ed è proprio per via di questi ultimi campionati che mi accingo a scrivere una considerazione dolorosa ma secondo me necessaria.

Non prendiamo in giro gli appassionati, i piloti e gli sponsor. Davvero. È arrivato il momento di chiedersi se sia necessario continuare a organizzare campionati con meno di 15 vetture partenti. Sia nei rally, sia in pista. Non ci sono molte scuse. Lo spettacolo offerto da serie automobilistiche con numeri esigui è ridicolo, per non dire indecoroso.

Per non parlare dei toni entusiastici usati dai narratori di schieramenti minuscoli, operazione quanto meno ipocrita soprattutto verso chi ha visto tempi migliori.

È necessario, per il bene del movimento, chiudere. Chiudere per riflettere. Rimborsare. Riorganizzare. Stabilire un minimo sindacale. Magari ripartire in seguito, perché no, con acque più limpide.

Pensiamo a cosa può voler dire, per un pilota, correre in un campionato nel quale avrà a che fare con altri 9 avversari. Pochi duelli, pochi sorpassi, poca adrenalina. In pratica, una partitella tra amici molto costosa che a fine anno... cosa può lasciare?
E poi... Cosa potrebbe pensare, uno sponsor, vedendo una griglia così ridotta? Probabilmente che l'investimento fatto non gioca a suo favore. In sostanza, soldi buttati. Il motorsport italiano ha bisogno di questo? No.
Come può essere interessato, un costruttore, a una griglia del genere? Non è possibile fare comunicazione, creare movimento mediatico e di conseguenza portare spettatori con numeri del genere, quando altri riescono a raccogliere 20, 30 vetture contemporaneamente.

Nemmeno le scuse della "tradizione" possono tenere in piedi questi campionati. Si può davvero presentare un campionato di valenza nazionale senza un numero sufficiente di protagonisti? Non è forse meglio chiudere bottega per un anno o anche per due, tre, cinque anni, e nel frattempo lavorare dietro le quinte per imbastire un programma migliore? Non è vero che basta esserci per far arrivare interesse. Piuttosto si generano noia e incredulità, come se alla finale olimpica dei cento metri si presentassero solamente in tre...

Proprio nell'inverno 2015/16 una notizia ha squarciato il panorama delle serie nazionali ed europee: la chiusura della F.Renault ALPS. All'inizio è stato un dispiacere, nessuno lo può negare. Ma poi la logicità della decisione ha preso il sopravvento. In effetti, perché organizzare un campionato, con soldi sonanti, senza avere la certezza di poter riempire la griglia, di poter raccontare storie in un contesto sano, di poter assicurare a team e sponsor un ritorno d'immagine adeguato? Il ciclo di vita del motorsport è continuato comunque, e ha generato da questa perdita il solito effetto a catena. Alcuni piloti sono migrati verso le ruote coperte, i team hanno rivolto attenzioni verso la F4, altri ancora li ho rivisti nell'Euroformula Open, nuovamente cresciuta seppur di poco in quanto a partenti. Forse questi fatti non saranno strettissimamente collegati, ma si può ragionevolmente pensare che i piloti siano in grado di trasferire i propri budget anche all'estero o in altri ambienti se necessario...

Che ne sarebbe dell'automobilismo italiano se alcuni campionati chiudessero? Bèh, forse ci si potrebbe concentrare maggiormente sulle serie in salute, potenziando le prospettive future in termini anche di comunicazione e di marketing. Molti piloti e team potrebbero tentare esperienze all'estero, accrescendo anche le proprie opportunità economiche. Certamente il calendario sarebbe meno confuso, e sarebbe possibile evitare assurde sovrapposizioni di data con altri eventi (Vogliamo parlare delle gare organizzate in contemporanea su più circuiti italiani oppure nello stesso giorno di un qualsiasi GP di F1 con orario europeo? Qualcuno si è mai chiesto a cosa può pensare uno spettatore messo in condizione di dover scegliere?).

"Facile parlare" potrebbe essere la chiosa finale di un qualsiasi contro-argomento alle mie tesi. E ci sta, non ho mai organizzato un campionato. Però spero si possa capire la logica del mio intervento, che è più un invito a riflettere piuttosto che un'invasione di competenze.

giovedì 21 aprile 2016

Sharon Is Back: Episodio 1, Hockenheim

Dopo un anno di stop è tornata, più determinata che mai. Sharon Scolari (#177) è infatti di nuovo sui circuiti grazie alla partecipazione nella Lotus Cup Europe. Con lei ho deciso di scrivere a quattro mani un diario che possa raccontare le corse, i problemi, le gioie e le avventure di un intero anno passato in pista. Un punto di vista femminile sulla vita da pilota, da una donna che ama le corse in modo viscerale.




Primo Round, Hockenheim 15-17 Aprile 2016.

Gara 1 - Ritiro
Gara 2 - 2° posto classe Open
Classifica assoluta - 31° (25 punti) - 6° classe Open

L'atmosfera

Che differenza enorme con l'Italia! C'erano tantissime persone, con un'affluenza di pubblico quasi da F1. E non erano soltanto i parenti e gli amici e pochi appassionati: a Hockenheim c'era davvero il pienone. Gli organizzatori dell'evento, cioè il Bosch Hockenheim Historic Das Jim Clark Revival, hanno messo in piedi uno spettacolo davvero unico, con tante serie internazionali - tra le quali la Boss GP - di diverso tipo; tante auto d'epoca "vere", di quelle che hanno vinto le corse; bancarelle di ogni genere; il museo dedicato a Jim Clark; e pure attività notturne, con al sabato sera feste in 3 luoghi diversi e contemporaneamente... Peccato che non sia riuscita a vedere quasi nulla, ero troppo impegnata a mettere insieme questa nuova avventura!




La pista

Non conoscevo il tracciato, ma mi sono trovata subito bene e alla fine è entrata subito tra le esperienze più belle della mia vita automobilistica. Non capita spesso di emozionarsi nel momento in cui si taglia il traguardo, ma stavolta mi è capitato. E forse è stato anche per il fatto che non correvo da molto, il che ha ampliato notevolmente l'emozione. Questo è un circuito pieno di storia e in un certo senso si sente. Gareggiare qui è stato speciale e anche i risultati lo hanno confermato.

I risultati

Nella mia categoria, quella open, avevo otto avversari diretti, mentre lo schieramento complessivo contava ben 41 Lotus. Dopo delle qualifiche non molto positive il weekend ha cominciato a migliorare. Al sabato in Gara 1 siamo partiti dietro la Safety Car per via della pioggia, e dopo lo start ho rimontato molto bene, fino ad arrivare sul podio di classe. Tuttavia un'uscita di pista all'ultimo giro mi ha privato di un buon risultato al debutto. Non tutto però è stato negativo: con questa prestazione ho imparato il tracciato anche in condizioni da bagnato. E infatti nella gara di domenica ho di nuovo dato il meglio di me, cercando di rimanere più concentrata con un ritmo costante e molta attenzione nei sorpassi. Alla fine è arrivato un secondo posto di classe davvero pazzesco, è stata un'emozione incredibile e direi indescrivibile.




Il ritorno alle corse

Se ripenso al momento in cui ho conquistato il podio e alle vicissitudini dei due anni precedenti mi viene la pelle d'oca. Per me è stato eccezionale tornare a fare quello che amo di più e a rimettermi in discussione. Nel 2015 ho lavorato molto sulla mia preparazione fisica e i risultati si sono visti, ho affrontato le gare senza fare fatica, ma probabilmente anche l'entusiasmo ha contribuito molto. Lo hanno visto tutti, l'ho visto anch'io nelle foto di questo weekend: i miei occhi esprimono felicità. Correre per me è come l'ossigeno, è vita.




Gli avversari

L'ambiente è bellissimo, e non lo dico per l'aria di novità ma perché lo credo veramente. Ci sono tante nazionalità diverse e questo porta un clima differente rispetto a quello che avevo trovato nel 2014 quando ho corso nella Lotus Cup Italia. In quella stagione la competizione si sentiva anche fuori dal paddock e talvolta era proprio una questione di sopravvivenza. Difficilmente ricevevi un aiuto proprio per questa tensione, che ho vissuto in modo anche stressante visto le sportellate gratuite che ogni tanto ho ricevuto. 
In questo campionato ho notato che ci si aiuta di più. In gara 1 ho avuto un contatto con le barriere e purtroppo anche la vettura si è danneggiata. Moltissimi colleghi sono arrivati a chiedere come stavo, a offrirmi ricambi nel caso fossi rimasta a corto, addirittura un meccanico che mi ha preso in simpatia ci ha aiutati a rimontare i fari. Questo è lo spirito giusto. C'è gioia nel correre per Lotus e anche se si tratta di una competizione non ci sono grandi interessi economici, piuttosto solo una grande passione.
Aver scoperto tutto questo mi ha notevolmente aiutata, perché è svanita la pressione negativa ed è rimasta solo la voglia di correre. Non ho provato stress e credo che per tutti i piloti del campionato sia così.





Le donne

Siamo in due, attualmente. Oltre a me ora c'è la francese Nathalie Genoud-Prachex, che vorrei conoscere meglio nei prossimi appuntamenti. Personalmente sento un clima completamente diverso nei miei confronti; non ci sono rivalità tra piloti uomini e piloti donna, solo sano agonismo. Se uno va più forte è rispettato indipendentemente da chi è.

I piloti ticinesi

[Barin, Bianchi, Camathias, Comini, Fontana...] Hanno tutti trovato la loro dimensione e in alcuni casi anche il felice approdo al professionismo. Sembra davvero l'anno buono per un Ticino vincente in tutte le categorie. Non sono l'unica ad aver ricominciato, anche altri amici dei rally hanno ripreso o riprenderanno a gareggiare. Sono davvero pochi gli anni nei quali i piloti ticinesi hanno più o meno tutti delle macchine competitive; spero che ognuno possa esprimersi al meglio. Ogni successo sarà positivo per il Ticino ed è un'ulteriore occasione per dimostrare cosa sappiamo fare.

martedì 19 aprile 2016

Intervista a Andrea Baiguera: Passione vera e voglia di lottare

Parlando con Andrea Baiguera ho sentito, oltre alla sempre coinvolgente cadenza bresciana, il calore del vero appassionato. In effetti Andrea, nato nel 1992 e in pista dal 2010, è cresciuto in mezzo a tanto motorsport, grazie alla passione del papà Angelo e alle assidue frequentazioni dei paddock italiani ed europei. Una vita nomade che Andrea, studente di architettura, ha sempre preso con il gusto dell'avventura, e che si accinge a continuare anche nel 2016 con l'approdo nella Lotus Cup italiana, gestita come sempre da Stefano d'Aste.




Partiamo dal presente, Andrea. Il progetto Lotus Cup procede bene...
«Sì, finalmente ho trovato un campionato interessante che si adatta bene al mio budget! Mio padre e Stefano si conoscevano per altro da molti anni e spesso ho corso in concomitanza con la Lotus Cup in passato, quindi è un ambiente che conosco. La Elise sembra addirittura un formula, e con il motore posteriore è molto divertente anche da guidare. Attualmente speriamo di poter dire la nostra con le risicate risorse che ci possiamo permettere, ma la macchina va forte e ovviamente vogliamo essere competitivi. Spero di aver fatto la scelta giusta!»




Non è la tua prima esperienza con le ruote coperte, in realtà.
«La prima volta assoluta è stata con la Megane Trophy, quando mio padre, alla sua ultima corsa nel 2011, volle gareggiare dividendo il volante con me. Eravamo a Barcellona, e io all'epoca non conoscevo né la macchina né la pista, ma fu divertente. Poi ho fatto un test con la Porsche Carrera Cup nel 2014 per me molto positivo. E pensare che all'arrivo mi ero chiesto del perché fossi lì: c'erano Fumanelli, Agostini, Ceccon... Insomma, nomi più altisonanti del mio! In ogni caso è stata una bella giornata, e devo ancora ringraziare Antonelli Motorsport e pure Stefano Comini per i consigli che mi aveva dato per l'occasione. Lui è uno che va forte».




Puoi vantare tanti anni d'esperienza nella F.Renault che potrebbero tornarti utili anche quest'anno. Che cambiamento ti aspetti nel passaggio dalle ruote scoperte a quelle coperte?
«Come cambiameno mi aspetto contatti e sportellate! In realtà la guida della Lotus ricorda molto quella della F.Renault, e quindi non penso che dovrò cambiare troppo lo stile di guida. Ripeto, credo che sarà un lotta più di muscoli ed è un fattore positivo perché io sono cresciuto guardando il Superturismo, dove tutti erano sempre con il coltello tra i denti. Noi siamo tutti veramente carichi e non vediamo l'ora di girare insieme agli altri».

La tua passione è nata con il Superturismo, quindi.
«Le gare turismo le ho sempre seguite, fin da quando avevo tre anni. Seguivo mio padre nel CIVT e per me era il paradiso. Mi ricordo che nel team ufficiale Audi avevano messo insieme una macchina elettrica per tirare le gomme con le fattezze dell'A4 dell'epoca, e io diventavo scemo ogni volta che la vedevo. Ora mi piace molto il TCR e infatti durante l'inverno mi sono interessato per un'eventuale partecipazione al Campionato Italiano che poi non si è concretizzata. Per altro questo campionato è il futuro: a quanto ho capito costa un quarto rispetto a una vettura per il WTCC, è più facile da gestire e di conseguenza è alla portata di molti più piloti. Inoltre le macchine sono gestite da privati e quindi tutti i team hanno delle possibilità, cosa che magari non accade con le case ufficiali. Se sapranno far valere il prodotto metteranno in seria difficoltà il WTCC».

Prima della F.Renault non hai vissuto momenti kartistici significativi...
«Parlavi di passione, prima? Ecco, ho rischiato di perderla all'età di 4 anni, quando mio padre mi mise sul kart in un piazzale di un supermercato. Lui ebbe la brutta idea di farmi sedere con il kart già acceso, e una volta seduto accelerai immediatamente, senza avere idea di come funzionassero i freni. Non so come ma riuscii a schivare le macchine parcheggiate, colpii inutilmente due panettoni spartitraffico e tornai indietro, fermandomi infine contro un cancello di ferro, nonostante il tentativo di placcaggio da parte di mio padre. Non andò bene: lui si ruppe un polso e io presi una bella botta in testa... Mia madre non fu contenta, diciamo... e quindi di conseguenza, salvo fare qualche garetta ogni tanto tra amici, non sono praticamente più salito sul kart. Ho esordito direttamente in F.Renault una volta compiuto 18 anni».


Andrea Baiguera in vettura, al suo fianco papà Angelo


La F.Renault rischia seriamente di scomparire. Non c'è già più la ALPS, chiusa quest'anno. Al contrario, la F4 prospera in tutta Europa. Tu come la vedi?
«Mah, in sostanza sta cambiando il mercato. Ci sono dei cicli. Mi ricordo ad esempio la F.Abarth, con oltre 50 iscritti e nemmeno lo spazio in griglia per farli stare; ora quella serie non esiste più. Auguro a quelli della F4 di non fare gli stessi errori. L'Alps è morta proprio per l'ascesa della F4, che attualmente è molto visibile, ha dei premi interessanti ed ha anche un maggior peso in termini di punti per la superlicenza. Anche la F3 Europea ne ha risentito, ma con l'appoggio della FIA potrà sopravvivere ancora.
La F4 è un buon prodotto, ma gli organizzatori devono evitare di mangiarci sopra, altrimenti faranno appunto la fine della F.Abarth. Loro alzarono i prezzi seguendo la richiesta, con aumenti anche ogni weekend, costi salatissimi per le gomme e tante altre storture che non sono andate giù ai team che rischiavano di saltare per aria. Alla fine poi cosa è rimasto di questa voglia di guadagno? Una marea di macchine da vendere e tante figuracce...»




Ci lamentiamo spesso, noi italiani, che non ci sono nostri connazionali in F1 e che nei nostri campionati non ci siano abbastanza macchine. Qual è il tuo pensiero?
«Da ogni punto guardi la questione, c'è sempre una motivazione economica. I piloti stranieri, molti dei quali sono davvero forti, hanno semplicemente più budget e quindi possono trovare sedili più validi. In GP2 abbiamo dei talenti come Giovinazzi, che è uno con un bel piede, ma anche lui farà fatica senza i soldi giusti. Il mercato del motorsport, in generale, fatica. Penso solo al già citato Stefano Comini: quanta fatica ha fatto per approdare finalmente a un ingaggio?
Per quanto riguarda i nostri campionati credo che alla fine abbiamo troppi campionati con poche macchine. Io correrò in un monomarca e la speranza è di arrivare almeno a 15 vetture, ma salvo il Campionato Italiano GT sono tutti in queste condizioni. O sfoltiamo un po', oppure vanno aggregate categorie che possono stare bene assieme, come nel caso di ACI e Peroni che fanno correre magari le stesse macchine, 10 di qua e 10 di là...»

La nuovissima generazione di piloti ha un approccio diverso rispetto al passato, e tu sembri far parte più della categoria dei piloti vecchio stile.
«Le ultime generazioni sono davvero molto diverse. A me piace molto fare squadra, stare con i meccanici, girare per il paddock e gustarmelo fino in fondo. Ho la fortuna di avere un padre che conosce bene o male tutti, e quindi me ne ha presentate tantissime. Alcuni mi dicono addirittura che si ricordano di quando ero un bambino piccolo, quando ti dicono "eri alto così"... Per me correre è anche una questione di stacco: attacco il carrello al fuoristrada, vado nel paddock, monto la tenda, aiuto i meccanici e poi faccio quello che mi piace, cioè scendere in pista. Invece i miei colleghi dell'ALPS non li vedevo praticamente mai nel paddock. Sono giovanissimi ma hanno già un obiettivo in testa, e infatti vanno in pista, poi stanno con l'ingegnere, poi vanno sul camion, e poi in albergo o con il preparatore atletico. Sono professionisti, per carità, ma se poi perdono il divertimento è inutile!»




Un atteggiamento, il tuo, che si sposa con la nostalgia di molti.
«Vero, sono nostalgico anch'io. Voglio dire che è bello arrivare con il bilico in circuito, non lo nego, ma certe esperienze alcuni non le vivranno mai. Come quella volta che siamo andati a Spa, 1000 km con una multipla, tutti i bagagli dietro e io schiacciato come una sardina per tutto il viaggio. A Barcellona una volta ci rubarono il furgone, un'altra volta presero il camper. In una di queste occasioni corsi con il casco di Christian Pescatori e la tuta e i guanti prestati da altri ancora. A Nogaro ci rubarono pure la macchina, una Clio con la quale dovevamo correre l'Europeo: mai più trovata... Senza contare anche tutti quei momenti positivi passati insieme semplicemente sotto la tenda del paddock».

In che epoca automobilistica ti sarebbe piaciuto vivere?
«Nei primi anni '90. C'era l'ITCC, il Superturismo nel suo picco, la F1 con il cuore in gola. In quell'epoca mi sarebbe piaciuto correre sia in Italia sia fuori, con quelle macchine straordinarie. Credo che in F1 nei primi anni '90 ci siano stati i più grandi campioni: Mansell, Prost, Piquet, Senna, Schumacher e Hakkinen, per cui avevo una predilezione. C'erano i motori liberi, V12, V10 e V8 tutti insieme e tutti in grado di vincere i GP. E poi c'era più umanità: altrimenti come avrebbe fatto Minardi a costruire una squadra di qualità con 4 spiccioli?»

venerdì 15 aprile 2016

20 curiosità sul circuito di Shanghai

Nonostante il GP di Cina sia già in calendario dal 2004, l'appuntamento in quel di Shanghai è diventato un classico. Solitamente le gare disputate qui sono divertenti, con un buon numero di sorpassi ancor prima dell'introduzione del DRS. Nella stagione 2016 il GP cinese è il terzo del calendario, il primo per l'estremo oriente.



Ecco quindi 20 particolarità sul GP di Cina in quel di Shanghai; leggetele, così potrete raccontarle ai vostri amici dimostrando di essere impallinati proprio come il sottoscritto.

A come Alexandre Prémat. Il pilota francese nel 2006 ha collezionato il suo unico weekend attivo in F1, guidando la Spyker durante le prove libere del venerdì.




B come Barrichello. Rubens inaugurò alla grande il nuovo circuito di Shanghai nel 2004, siglando la pole position e vincendo la gara davanti alla BAR di Button e alla McLaren di Raikkonen.

C come Christian Klien. L'austriaco ha conquistato nel 2005 il suo miglior piazzamento in F1, grazie a un 5° posto con la Red Bull.

D come 2007. Nella 4° edizione del GP di Cina Lewis Hamilton sciupò un matchpoint nella corsa al titolo, andando a insabbiarsi nella via di fuga laterale presente alla destra dell'ingresso box. La gara fu vinta da Raikkonen e l'episodio fu determinante per le sorti del campionato del mondo (vinto proprio dal finlandese).

E come Errore di conteggio. Nel 2014 direttore di corsa, cronometristi e soprattutto l'addetto allo sventolamento della bandiera a scacchi fecero una gran confusione, e la suddetta bandiera venne esposta alla conclusione del 54° giro, due tornate prima del previsto. Per regolamento (!) la bandiera ha valore assoluto, così i due giri disputati successivamente furono del tutto ininfluenti.

F come Fuori di testa. Durante l'edizione 2015 un tizio decise di attraversare il rettilineo principale durante le prove libere, allo scopo di esclamare "ho il biglietto, datemi una macchina" nei pressi del box Ferrari.





G come Governo. Come è accaduto in altre nazioni, anche il governo Cinese ha pesantemente sovvenzionato la costruzione del tracciato ospitante la F1. L'opera costò all'epoca 240 milioni di dollari.

H come Hamilton. Lewis Hamilton, indipendentemente dai risultati dell'edizione 2016, rimarrà il pilota con più vittorie sul tracciato di Shanghai, avendo centrato il successo 4 volte (2008, 2011, 2014, 2015).

I come Incidenti. Sul circuito di Shanghai, nonostante le ampie vie di fuga, si sono visti molti appuntamenti "a muro" dei piloti. Segnalerei principalmente le gesta di Karthikeyan, Buemi, Gutierrez e Sutil, i più creativi.








J come Jiading. Il distretto di Jiading ospita il circuito e un'ampia zona industriale. Un tempo diviso dalla città di Shanghai, ora fa parte della periferia essendo distante 20 km dal centro.

K come Kobayashi. Nell'edizione 2014, tagliata di due giri, Kamui Kobayashi fece vivere alla Caterham uno dei suoi pochi momenti di gloria, superando Bianchi con una grande manovra. Tutto comunque fu inutile: Bianchi mantenne la posizione visto che il sorpasso fu annullato a causa del pasticcio della bandiera a scacchi. In quel gran premio Kamui trovò altri secondi di gloria sdoppiandosi da Vettel e beccandosi un bel "vaffa" dal tedesco...






L come Liuzzi. Anche Vitantonio Liuzzi ha conquistato uno dei suoi miglior risultati in carriera a Shanghai, nel 2007. Con la Toro Rosso arrivò 6°, posizione eguagliata soltanto nel 2010 in Corea con la Force India.

M come Mercedes. Il motore Mercedes, qualunque sarà il risultato dell'edizione 2016, rimarrà in testa alla classifica dei motoristi più vittoriosi a Shanghai, con 6 successi (suddivisi equamente tra Mercedes AMG e McLaren)

P come Palude. Il tracciato di Shanghai è stato costruito su un terreno prevalentemente paludoso. Nel 2011 addirittura ci fu un'ispezione del tracciato per dei cedimenti strutturali nelle curve 8, 11 e 14, provocati dal terreno fangoso sottostante.

R come Rosberg. Nico ha vinto nel 2012 il suo primo GP di F1, che ha coinciso anche con il primo GP vinto da Mercedes dopo il suo ritorno in F1 come costruttore.






S come Sinopec. L'azienda petrolifera cinese ha sponsorizzato le prime cinque edizioni del GP, precedendo in questa classifica UBS (4 edizioni) e Pirelli (una edizione, quella 2016).

T come Tilke. L'onnipresente Hermann ha disegnato il circuito di Shanghai ispirandosi al carattere shang, omaggio proprio alla città che ospita l'impianto. Il disegno della pista ricorda lontamente Sepang, e presenta un lunghissimo rettilineo, anticipato da una curva veloce. Molto tecnica anche la prima curva, lunga e con più punti di corda, che si prende ad alta velocità.

U come Ultima. Sul circuito cinese ci sono tre importanti "ultime conquiste": Michael Schumacher ha vinto qui la sua ultima gara nel 2006, mentre Jordan e Minardi, due scuderie che hanno fatto la storia della F1, hanno corso nel 2005 le ultime gare con la denominazione originale.

W come Wurz. Anche per il pilota austriaco il GP di Cina ha rappresentato l'ultima fatica a bordo di una F1. Nel 2007, nonostante la gara non fosse l'ultima in calendario, Wurz decise di averne abbastanza lasciando spazio al pilota di riserva Kazuki Nakajima per l'ultimo round in Brasile.

Y come Yuyuan Garden. La parte retrostante del paddock si ispira allo stupendo giardino acquatico di Shanghai, con strutture che rimangono sospese su un nugolo di stagni scampato alla bonifica. Il complesso è molto suggestivo e rende onore al patrimonio culturale della città.

giovedì 14 aprile 2016

Veloce come il vento: la recensione

Veloce come il vento non è il classico film italiano. Almeno, non lo è del tutto. Questo film, diretto da Matteo Rovere, è già e sarà sempre di più un must per gli appassionati di motori, perché pur essendo per certi versi un comedy-drama che tocca aspetti non esattamente leggeri della nostra esistenza si sentono tantissimo l'odore di benzina e il profumo delle corse automobilistiche.

Attenzione, da qui in avanti scriverò qualcosina sulla trama del film, quindi se non sapete ancora niente girate i tacchi e andate subito a vederlo, perché merita.



Rovere ha trovato ispirazione - anche se non è nella categoria "tratto da una storia vera" - nelle vicissitudini di Carlo Capone, campione europeo rally nel 1984 . Il pilota piemontese abbandonò progressivamente il mondo delle corse dopo la tragica morte di sua figlia (stroncata da un banale rigurgito) e dopo la conseguente caduta nell'orrendo gorgo della depressione, male terribile dei nostri tempi. Per un breve periodo, Capone provò anche a fare il coach driver per giovani talenti, un'attività che però non riuscì a portare avanti.

Ecco quindi la chiave per volta per raccontare, attraverso la narrazione filmica, un'altra storia dai contenuti altamente drammatici: l'ascesa di una pilota minorenne verso il successo nelle corse (la giovane talentuosa Giulia Di Martino, interpretata da Matilde De Angelis), allenata dal fratello tossicodipendente che fa di tutto per dimostrare la sua inaffidabilità (in pratica la figura distorta di Carlo Capone, interpretata da Stefano Accorsi) e assistita da un meccanico - Tonino (Paolo Graziosi) - che non l'abbandona mai e che controbilancia Loris (il personaggio di Accorsi) con la sua saggezza. Il personaggio di Tonino ha una controparte reale: si tratta di Antonio Dentini, meccanico di Capone e fonte primaria per la stesura della trama di questo film.

La Porsche con i colori De Martino; di fianco alla vettura l'attore Paolo Graziosi,
che interpreta il meccanico Tonino  © Alberto Marcone


Il rapporto tra Giulia e Loris è un fiume in piena di alti e bassi, rappresentati rispettivamente dalla volontà di Loris di aiutare Giulia a vincere il campionato e dai suoi continui colpi di testa, determinati sia dagli effetti delle droghe assunte sia da una dose di narcisismo impenitente. Tutto è esasperato da una scommessa, fatta dal padre di Giulia prima di morire: se Giulia avesse vinto il campionato GT avrebbe potuto tenere la propria casa, altrimenti avrebbe dovuto cederla alla scuderia nemica che ovviamente è la favorita.

Giulia, dopo le prime due inconcludenti gare del campionato, decide di ascoltare i consigli di Loris, sopportando a stento il soqquadro che ha portato nella sua vita. Loris, ex campione dei rally con una Peugeot 205 Turbo 16, sente nuovamente dentro di sé la magia delle corse, sentimento che aveva dimenticato in anni di perdizione. Comincia quindi la lenta risalita di Giulia in classifica, mentre Loris fatica comunque ad abbandonare le sue pessime abitudini.




Il film si conclude con una gara clandestina, affrontata da Loris proprio con la Turbo 16, per le strade di Matera, ultima spiaggia per mantenere in vita la speranza di non perdere la casa. Il finale è enigmatico ma rappresenta il riavvicinamento finale tra Loris e Giulia, uniti sì dalla passione per i motori ma anche dalle difficoltà appena passate.

Dal punto di vista delle immagini utilizzate il film ha positivamente impressionato. Per capire quanto fosse di qualità posso scomodare il meno recente Rush di Ron Howard. Mentre l'americano ha utilizzato tanti effetti computerizzati, Matteo Rovere ha messo in campo solamente immagini reali, girate sia durante le gare del campionato GT 2014 sia appositamente. Monza, Imola, Mugello e Vallelunga sono stati i circuiti nei quali sono state girate le scene del film, con pochissimi errori di montaggio (per un appassionato che conosce a memoria i dettagli di tali circuiti sarà facile riconoscerli). In realtà, se proprio si vuole trovare un film paragonabile a Veloce come il vento, bisogna tornare indietro al 1966, quando John Frankenheimer girò Grand Prix.

(L'unica cosa davvero "copiata" da Rush si vede quando vengono presentate velocemente le gare del recupero in classifica di Giulia, con una sovraimpressione del nome del circuito e della classifica proprio come avviene nel film su Lauda e Hunt dopo l'incidente del Nurburgring)

Le immagini delle auto e del paddock, girate sia con droni sia a terra, sono straordinarie e potrebbero far parte di una sorta di filmato promozionale per il mondo delle vetture GT: personalmente sono rimasto sorpreso dalla scelta delle inquadrature, che ho trovato perfette per raccontare anche a un pubblico non esperto cosa vuol dire la parola "automobilismo".

La Porsche con i colori del team De Martino  © Alberto Marcone

Oltre ai marchi che hanno beneficiato della presenza nel Campionato GT (principalmente Porsche e Lamborghini), la Peugeot ha portato avanti un nemmeno tanto celato product placement. Oltre alla 205 T16, mostro da gruppo B, nel film si vede spessissimo anche la macchina di tutti i giorni di Loris, una 205 GTi 1.9 protagonista di un paio di bravate. La T16 è stata utilizzata sia da Accorsi (che è un testimonial di Peugeot, ricordo) sia da Paolo Andreucci, che l'ha guidata nelle scene più pericolose.

La performance di Accorsi è eccezionale. L'attore, che è un appassionato, ha interpretato un credibilissimo tossicodipendente e ha preso sul serio la parte dell'ex pilota vecchio lupo dei circuiti, in grado di dare alla sorella lezioni di guida nonostante il precario stato psicofisico. Matilde De Angelis, alla sua prima interpretazione assoluta, ha dimostrato carattere e per calarsi meglio nella parte ha studiato il mondo del motorsport al femminile grazie all'esperienza diretta di Luli Del Castello.




Il punto dolente è la gara clandestina in quel di Matera, che è altamente irreale sia per il suo svolgimento sia per la sua ideazione (a dirla tutta). Non la critico per la sua presenza (anzi, credo che l'idea fosse buona), ma non è stata all'altezza del realismo del Campionato GT; con un po' di attenzione in più sarebbe potuta essere una sfida più interessante, mentre così com'è richiama troppo il mondo di Fast & Furious.

In conclusione: il film è stato ben fatto, soprattutto in confronto con altre pellicole dedicate ai motori. In sala si piange, si sente la tensione della sfida e tra i personaggi e ogni tanto si ride anche grazie alle sparate di Loris, che con i suoi commenti un po' sboccati risulta essere di gran lunga il personaggio più genuino.




lunedì 11 aprile 2016

Intervista a Ernesto Catella: Kanaan, Fisico, Colciago...e la F3

A volte mi chiedo: l'epoca che sto vivendo è davvero adatta al mio modo di pensare? Forse per altri temi sì, ma riguardo al motorsport mi convinco sempre più che negli anni '80 e negli anni '90 mi sarei trovato decisamente meglio. Su questo blog ho deciso di riversare la mia passione per i motori, e la cosa più divertente è senz'altro intervistare le persone che fanno parte di quel mondo. E mi posso soltanto immaginare cosa sarebbe successo se avessi camminato per il paddock in una gara qualsiasi del Campionato Italiano di F3 nei primissimi anni '90: quante parole in libertà avrei potuto scambiare! Le parole dei protagonisti dell'epoca sono statisticamente rilevanti: in quel periodo l'ambiente era più accessibile.

Ora invece la ricerca non va sempre a buon fine. Ci sono piloti e team manager forse timidi, forse maleducati, forse malconsigliati (chi lo sa?) che alle mie umilissime richieste non danno nemmeno risposta, un po' come i calciatori che scappano dopo l'allenamento sgommando in faccia ai fans che richiedono l'autografo. Fortunatamente non tutti sono così, e quando l'intervista va in porto senza troppe difficoltà mi sento ancora parte di una storia comune. Ed è con questa introduzione intrisa di nostalgia per un'epoca che non ho mai vissuto che mi accingo a parlare di Ernesto Catella.

Nico Prost, Ernesto Catella e Alain Prost

Le sue scuderie hanno imperversato soprattutto nelle formule minori nella prima metà degli anni '90, con risultati di rilievo e con tante storie legate a piloti che poi avrebbero avuto un luminoso futuro. Tuttavia Ernesto Catella prima di dirigere un team aveva anche solcato gli autodromi, con presenze soprattutto nella F3 italiana...
«Eravamo tutti amici, all'epoca della F3. Quanti personaggi straordinari ho conosciuto! Ci divertivamo a ogni weekend, non c'era traccia delle polemiche a sfondo politico attuali. Erano solo la passione e la voglia di correre a spingerci in pista. Anche l'organizzazione era diversa, addirittura facevamo il briefing sulla griglia di partenza, con sempre almeno una quarantina di partecipanti. Una volta a Pergusa mi presentai con casco, guanti e calzoncini corti. Mi presi una sgridata ma tra le risate...» 




La carriera da pilota si è conclusa nel 1988 senza risultati eclatanti, ma quelli sarebbero arrivati una volta indossati i panni del team manager.
«Nel 1988 a Pergusa decisi di appendere per sempre il casco al chiodo, dopo tanti anni di corse. In quell'anno il mio compagno di squadra era Eugenio Visco, ottimo pilota che durante l'anno successivo arrivò secondo al Lotteria di Monza. Durante l'inverno eravamo passati dal telaio Reynard a quello Dallara e nel 1989 ci furono ben cinque piazzamenti a podio compresa una vittoria a Vallelunga. 

Nel 1990 il team diventò RC Motorsport (grazie alla partecipazione di Carlo Migliavacca e Francesco Ravera) e schierammo Alex Zanardi. Non riuscimmo a vincere il campionato ma qualche gara sì, e fu un'ottima stagione. Il momento più alto si rivelò essere la Coppa Europa di F3 in gara unica, disputata a Le Mans sul circuito Bugatti. Alex la vinse dopo essere arrivato secondo in pista, dopo la squalifica di Michael Schumacher. A seguito di un incidente alla partenza, Schumacher abbandonò la macchina in mezzo alla pista e fu data bandiera rossa. Nel prendere il muletto cambiò anche marca del motore, cosa non permessa dal regolamento... Il reclamo, consigliato anche da Guido Forti, diede ragione a noi... 

Nel 1991 passammo dai motori Novamotor ai Volkswagen, ma nonostante il cambio arrivammo comunque terzi in campionato con Andrea Gilardi, che colse ben tre vittorie; l'anno successivo andò ancora meglio con i motori Opel-Spiess, forniti devo dire da persone davvero oneste e sincere. Nelle prove invernali non scendemmo mai sotto il secondo di distacco dagli altri, ma lo sviluppo fu incredibile. La stagione fu trionfale, con la vittoria di Max Angelelli nel campionato».

Poi ci fu la scoperta di un brasiliano che è oltreoceano è diventato una superstar.
«Alla fine del 1992, grazie anche ad Ayrton Senna, trovai un talento vero: Tony Kanaan. Non aveva un centesimo ma andava forte, forte per davvero. Dei tanti piloti che ho visto lui è certamente uno dei più coraggiosi. Purtroppo non riuscii mai a fargli correre una stagione intera in F3, ma gli pagai l'ingaggio per l'annata in Formula Opel Lotus nel 1993. Lo sento ancora, Tony. Dopo aver vinto la 500 Miglia mi ha chiamato, credo fosse passata solo mezz'ora dopo la fine dei festeggiamenti. Mi ricordo che nel 2001 mi invitò a un paio di gare di F.Cart, e così andai negli States a vedere per altro una sua pole sull'ovale di Chicago. Tony mi ha davvero rapito il cuore, è una grande persona»



Senna con un giovane Tony Kanaan


Nel 2001 il suo compagno era proprio Alex Zanardi, altro tuo pilota come citato poco fa.
«Alex è stato un grande, ed è stato un peccato che la sua stagione in F1 con la Williams sia stata frenata dalla sua fatica ad adattarsi. Io credo ancora, a proposito del 2001, che una delle cause dell'incidente del Lausitzring sia la troppa foga per ristabilire le gerarchie nel team, visto che Tony stava sempre davanti a lui. In nessun altro caso lo direi, ma per Alex è stata paradossalmente una fortuna subire quell'incidente, perché è riuscito a costruire una carriera straordinaria in altri contesti. E mai avrei detto che sarebbe stato in grado di tornare così forte nel momento in cui lo andai a trovare in ospedale in Germania, ancora in convalescenza».

Tornando alle avventure anni '90, a un certo punto ci fu una svolta a livello europeo per il team di F3...
«Nel 1993 vari dissidi con la CSAI ci impedirono di correre nell'italiano, quindi ci dedicammo addirittura al campionato tedesco, corso splendidamente da Colciago. Il team rientrò nelle ultime due gare dell'italiano, sufficienti per bastonare tutti in modo secco con due vittorie di Michael Krumm a Vallelunga e a Imola. Roberto Colciago aveva tutto per diventare un campionissimo della sua categoria, ma non aveva la piena volontà di farlo. Intendiamoci, andava forte e ha fatto risultati, ma poteva tirar fuori una carriera come quella di Tarquini. Inoltre aveva una capacità innata di adattarsi a qualsiasi mezzo senza alcuno sforzo: un vero talento».

Poi c'è stata la miglior annata della storia del team, il 1994...
«Fu la stagione perfetta di Giancarlo Fisichella.Giancarlo con noi vinse praticamente tutto, compreso Montecarlo. Dal punto di vista economico la stagione non fu altrettanto positiva perché spesi una cifra iperbolica... Fisichella, per come la penso io, è stato uno dei piloti più forti al mondo della sua epoca. Purtroppo sbagliò ad andare in Renault con Alonso, scelta che a posteriori gli ha rovinato la carriera in F1. E pure salire sulla Ferrari nel 2009 non fu positivo per le sue ambizioni, visto che poi lo hanno parcheggiato nelle GT, dove un pilota come lui è sprecato. Per altro lui è un ragazzo bravissimo, educato e soprattutto legatissimo ai valori della famiglia, per la quale farebbe di tutto».

Com'è andata invece l'avventura nelle ruote coperte?
«Non avevo più molto interesse a competere nella F3, avendo vinto tutto. Decisi di provare a fare qualcos a con le ruote coperte. Debuttammo nel Velocità Turismo nel 1995 con la Opel Vectra e con Roberto Colciago e i risultati arrivarono subito: dopo i team ufficiali, infatti, c'eravamo noi. E talvolta li battevamo anche, cosa che li infastidiva alquanto. Dopo una stagione con Alfa Romeo (1996) puntammo sulla Honda Accord, costata 740 milioni più 100 milioni per l'iscrizione al campionato Superturismo. Purtroppo però il nostro status di indipendenti non fu un vantaggio: andavamo forte (anche senza gomme ufficiali) ma spesso e volentieri ci buttavano fuori. Evidentemente seccava che stessimo davanti a team che spendevano molti più quattrini».





Dopo il superturismo arrivò una chiamata dalla Spagna...
«Nel 1998 prendemmo parte alla prima stagione della Open Fortuna by Nissan con l'argentino Filiberti e il francese Patrick Gay, campione della F3 francese e finanziato dalla stessa organizzazione per correre con noi. Il campionato fu molto positivo, ma non ci fu molto da fare contro lo strapotere di Marc Gené. L'avventura spagnola durò fino al 2000, con ottimi risultati da parte di Angel Burgueno, pilota in grado di dare filo da torcere a Fernando Alonso in alcune occasioni. Dopo il 2000 abbiamo corso nelle World Series e nell'Euro Series 3000, ma dal punto di vista finanziario a ogni stagione era peggio; le spese stavano diventando insostenibili. Non rimpiango comunque nulla delle scelte fatte, e anche in questo periodo mi sono preso delle belle soddisfazioni. Le ultime grandi sono state con Luis Razia e Nicolas Prost: il primo era velocissimo, ma anche incostante, e infatti o vinceva o picchiava; il francese raccoglieva piazzamenti, finiva tutte le gare e alla fine ha pure vinto un campionato. Diciamo... esattamente come il padre!»

Pochi sanno invece della brevissima parentesi nella FA1, anno 2014.
«L'ultima delusione, dal punto di vista delle monoposto, è stata la Formula Acceleration 1, campionato dedicato alle Lola ex A1GP. Uno dei più grossi bluff della mia carriera. Gli organizzatori mi avevano fatto capire che sarebbe stato tutto gratis e io portai quindi due piloti messicani, per altro molto veloci. Tuttavia dopo qualche tempo mi fu presentato il conto. Dopo la prima gara, disastrosa anche dal punto dei vista dei danni, lasciai perdere...»

Cosa pensi del fatto che da tanto tempo non ci siano piloti italiani in F1?
«È una vergogna. Piano piano i piloti italiani sono spariti tutti. Eppure di gente che in F1 ci può stare ne abbiamo. Prendiamo ad esempio Edoardo Mortara. Non dico tanto ma se avesse debuttato qualche anno fa in F1 sarebbe andato almeno quanto Max Verstappen. È veloce, serio, onesto, gentile, educato... Ma l'abbiamo perso. Come si fa a finire nel DTM così presto in carriera? In più, oltre ad avere un problema con i piloti ci sono i soliti guai della povera Monza...»

Com'è cambiato il modo di correre rispetto ai tempi della tua F3?
«Credo che sia cambiato tutto rispetto a quando correvo io. Prima era una questione solo di passione: andavi a gareggiare, ti divertivi e poi magari facevi dell'altro. Ora cercano di trasformare i giovanissimi in professionisti, con il preparatore atletico e ore e ore di simulatore. Non capita più di vedere la guida pura, del pilota che sale sulla macchina all'ultimo minuto e che va forte. E inoltre manca una cosa importante: la libertà del pilota di cambiare le marce senza interferenze, di decidere la propria corsa, e – soprattutto in F1 – di spremere la macchina».

In questo 2016 Ernesto dovrebbe partecipare in veste di direttore sportivo nella scuderia di Alan Gomboso, cioè la Duell Race, nel Campionato Italiano GT. Ma già ci sono altri progetti in cantiere...
«Sono molto interessato a quello che potrebbe essere un impegno nel mondo dei prototipi con le nuove LMP3, e se dovesse costruirsi un'opportunità la coglierei al volo. Ma a modo mio: non voglio mettere soldi solamente per partecipare, voglio essere protagonista».

giovedì 7 aprile 2016

Benvenuta, Manor!

Finalmente, dopo alcune stagioni passate invano, possiamo dare il benvenuto alla Manor. Anche la scuderia inglese può permettersi di lottare a centro gruppo grazie a una serie di novità, sia fresche sia anticipate nel corso della passata stagione.




Già in Australia avevamo potuto apprezzare il netto miglioramento della Manor nel confronto con le altre realtà del circus. Rio Haryanto, primo pilota indonesiano a correre in F1, aveva concluso le qualifiche a soli 21 millesimi da Esteban Gutierrez, il messicano seconda guida del team Haas. La squadra americana ha messo in piedi una grande vettura (c'è chi pensa sia in realtà una Ferrari 2015 modificata) e ha un budget adeguato, quindi poteva già bastare questo a rendere soddisfatti anche i vertici della Manor. A conferma di tutto questo anche la prestazione di Pascal Wehrlein, il protetto Mercedes approdato nel team per uno svezzamento in vista di un impiego futuro in prima squadra, in fondo alla griglia ma con soli 15 millesimi di ritardo da Haryanto (poi penalizzato di tre posizioni per un unsafe release durante le prove libere).

In gara il tedesco ha poi siglato una grande partenza, piombando in 14° posizione e soprattutto mantenendola, tenendo dietro appunto Gutierrez e le Sauber tra gli altri.

Tuttavia servivano conferme. E queste sono puntualmente arrivate in Bahrain, dove Wehrlein ha ancora una volta dato filo da torcere ad avversari che solo un anno fa erano lontani anni luce. Una qualifica incredibile gli ha permesso di approdare alla 16° piazza. Un piazzamento vero, non dettato da squalifiche o guasti altrui. Mi ha ricordato il 17° posto di Alonso nelle prove di qualificazione del GP degli Stati Uniti 2001, quando guidava una Minardi.




In gara il tedesco ha portato la Manor al 13° posto, davanti a Nasr, alle due Force India e al compagno di squadra (che non ha sfigurato, visto che ha concluso nello stesso giro dei colleghi). Il sorpasso di Wehrlein ai danni di Hulkenberg è certamente uno degli highlights della corsa non solo per la Manor ma per la F1. I rivali cominciano a rispettare la squadra, tant'è che in un team radio Kevin Magnussen ha testualmente detto che nei rettilinei la MRT05 è un missile.

Come mai, tuttavia, la competitività è stata raggiunta solamente dopo sette stagioni di permanenza in F1? Sicuramente non c'è solo un motivo.

Power Unit e sviluppo. La Manor ha corso con motori Ferrari fino all'anno scorso, dopo aver utilizzato il Cosworth V8 nelle prime stagioni in F1. Da quest'anno la scuderia ospita il motore Mercedes, attualmente il più performante e affidabile del lotto. Non solo: a livello di tempi e di presenza in gara la Manor è migliorata così tanto da farmi pensare a un diverso trattamento da parte di Mercedes rispetto a quanto facesse la Ferrari. Sembra che la casa tedesca sia più interessata nel fornire elementi competitivi, insomma. Sia Mercedes sia Ferrari hanno scelto (ora e in passato) di far correre nel team loro giovani piloti (rispettivamente Wehrlein e Bianchi); chissà se in futuro Pascal riuscirà a trovare lo spazio in una squadra top, privilegio che fu più volte negato a Jules (speranza chiusa, purtroppo, dall'incidente mortale di Suzuka).




Sospensioni e trasmissione. Alla luce del passaggio a Mercedes, la Manor ha riproposto l'alleanza con Williams acquistando altre componenti fondamentali. In passato il team di Grove aveva fornito il KERS, che doveva sposarsi con il motore Ferrari. Ora l'accordo è certamente più armonico. Questa scelta fa filosoficamente avvicinare la Manor al team Haas, altra entità della F1 attuale che si comporta come garagista (con ottimi risultati finora).

Piloti. Mentre i comunque rispettabili Stevens e Merhi erano arrivati in F1 con un curriculum buono ma non eccezionale, Wehrlein può vantarsi di aver conquistato il campionato DTM, mentre Haryanto si è presentato con solidissime esperienze in GP3 e in GP2, cogliendo risultati accettabili se confrontati con altri piloti paganti. Pertamina, lo sponsor dell'indonesiano, ha sostituito l'uscente PDVSA di Maldonado in quanto a importanza e a peso economico all'interno del Circus; la speranza del team è che Rio dimostri di essere altrettanto veloce del venezuelano ma meno falloso. Il fatto che in certi frangenti non sia lontanissimo da Wehrlein è positivo; visto che Pascal è considerato da molti osservatori un fenomeno.
Da considerare anche la presenza di Alexander Rossi (che è stato l'unico nel 2015 a provare a contrastare il dominio di Vandoorne in GP2, e che ha già disputato 5 gare in F1 con la Manor Marussia) come pilota di riserva e Jordan King come development driver (suo padre ha interessi nel team, vedi paragrafo sottostante).




Un miglior piano? La dirigenza del team è completamente cambiata. Con il fondatore John Booth e Graeme Lowdon fuori (la loro Manor correrà nel WEC con una LMP2), il nuovo proprietario Stephen Fitzpatrick ha cercato di prendere il meglio dal mercato dei free agent, riportando in F1 gli ex Ferrari Pat Fry e Nicholas Tombazis, e l'ex McLaren Dave Ryan. A livello di sponsorizzazione, oltre a Pertamina, c'è anche Shazam, ed entrambe sono aziende in crescita. Il partner di Fitzpatrick (che è anche CEO di OVO) è Justin King, manager prima in Sainsbury e ora top manager di Terra Firma (società finanziaria) ed entrambi sono mossi da una grande passione per il motorsport. Se arriveranno punti e altre prestazioni concrete allora sarà possibile parlare di un cambio ai vertici doveroso dopo anni di inamovibilità dal fondo della classifica.

Una nuova consapevolezza. Dopo il GP d'Australia il racing director Dave Ryan si era dichiarato non del tutto soddisfatto, sostenendo che l'aspettativa del team era di proporsi a metà classifica. All'interno del team non si respira più l'aria rassegnata, evidentemente: c'è voglia di salire la china. Ora la Manor dovrà guadagnarsi il diritto a rimanere, continuando a guadagnare posizioni. Solo così potrà essere inquadrata dalla regia, portando le aziende a interessarsi di più a quella livrea ancora così vuota. Non solo: con la Renault in fase di ristrutturazione e la Sauber in secche economiche, questa potrebbe essere la stagione buona per ripetere il 9° posto nei costruttori, risultato già ottenuto nel 2014 grazie al singolo exploit di Bianchi a Montecarlo.

Con queste premesse, può essere un'ottima stagione. In Manor sanno sicuramente che è uno di quei casi da dentro o fuori, e solo fra qualche gara potremo sapere se i vertici del team avranno dato la giusta spinta al nuovo potenziale.