martedì 26 aprile 2016
I campionati con meno di 15 partenti hanno ragione di esistere?
AVVERTENZA: Questo post non è rivolto a nessuno in particolare. In realtà è rivolto a tutti. Spero che sia una riflessione utile per chi ha potere di gestire e di comprendere meglio il motorsport, visto che nella mia posizione posso solamente esprimere un'opinione personale.
Tutti sappiamo che l'automobilismo non è come il calcio, il tennis o il ciclismo. Non esiste una classificazione universale dei campionati, non esiste un sistema di retrocessione o promozione, non ci sono ranking realistici grazie ai quali possono essere strutturati classi, categorie e risorse. La FIA stessa non ha potere sulla possibile razionalizzazione del panorama motoristico, e talvolta pare lei stessa in confusione sulla marea di sigle in circolazione.
Nel motorsport ci sono organizzatori e federazioni, che si occupano di stilare calendari e campionati pescando iscrizioni dagli interessati, possibilmente puntando a numeri il più possibile alti. I numeri, come è evidente, non sono sempre gli stessi: variano a seconda dell'andamento economico, degli interessi dei singoli, delle opportunità presenti. Esistono campionati fin troppo frequentati, altri con un tetto prestabilito in quanto a iscrizioni e altri ancora (purtroppo) poveri di contenuti.
Ed è proprio per via di questi ultimi campionati che mi accingo a scrivere una considerazione dolorosa ma secondo me necessaria.
Non prendiamo in giro gli appassionati, i piloti e gli sponsor. Davvero. È arrivato il momento di chiedersi se sia necessario continuare a organizzare campionati con meno di 15 vetture partenti. Sia nei rally, sia in pista. Non ci sono molte scuse. Lo spettacolo offerto da serie automobilistiche con numeri esigui è ridicolo, per non dire indecoroso.
Per non parlare dei toni entusiastici usati dai narratori di schieramenti minuscoli, operazione quanto meno ipocrita soprattutto verso chi ha visto tempi migliori.
È necessario, per il bene del movimento, chiudere. Chiudere per riflettere. Rimborsare. Riorganizzare. Stabilire un minimo sindacale. Magari ripartire in seguito, perché no, con acque più limpide.
Pensiamo a cosa può voler dire, per un pilota, correre in un campionato nel quale avrà a che fare con altri 9 avversari. Pochi duelli, pochi sorpassi, poca adrenalina. In pratica, una partitella tra amici molto costosa che a fine anno... cosa può lasciare?
E poi... Cosa potrebbe pensare, uno sponsor, vedendo una griglia così ridotta? Probabilmente che l'investimento fatto non gioca a suo favore. In sostanza, soldi buttati. Il motorsport italiano ha bisogno di questo? No.
Come può essere interessato, un costruttore, a una griglia del genere? Non è possibile fare comunicazione, creare movimento mediatico e di conseguenza portare spettatori con numeri del genere, quando altri riescono a raccogliere 20, 30 vetture contemporaneamente.
Nemmeno le scuse della "tradizione" possono tenere in piedi questi campionati. Si può davvero presentare un campionato di valenza nazionale senza un numero sufficiente di protagonisti? Non è forse meglio chiudere bottega per un anno o anche per due, tre, cinque anni, e nel frattempo lavorare dietro le quinte per imbastire un programma migliore? Non è vero che basta esserci per far arrivare interesse. Piuttosto si generano noia e incredulità, come se alla finale olimpica dei cento metri si presentassero solamente in tre...
Proprio nell'inverno 2015/16 una notizia ha squarciato il panorama delle serie nazionali ed europee: la chiusura della F.Renault ALPS. All'inizio è stato un dispiacere, nessuno lo può negare. Ma poi la logicità della decisione ha preso il sopravvento. In effetti, perché organizzare un campionato, con soldi sonanti, senza avere la certezza di poter riempire la griglia, di poter raccontare storie in un contesto sano, di poter assicurare a team e sponsor un ritorno d'immagine adeguato? Il ciclo di vita del motorsport è continuato comunque, e ha generato da questa perdita il solito effetto a catena. Alcuni piloti sono migrati verso le ruote coperte, i team hanno rivolto attenzioni verso la F4, altri ancora li ho rivisti nell'Euroformula Open, nuovamente cresciuta seppur di poco in quanto a partenti. Forse questi fatti non saranno strettissimamente collegati, ma si può ragionevolmente pensare che i piloti siano in grado di trasferire i propri budget anche all'estero o in altri ambienti se necessario...
Che ne sarebbe dell'automobilismo italiano se alcuni campionati chiudessero? Bèh, forse ci si potrebbe concentrare maggiormente sulle serie in salute, potenziando le prospettive future in termini anche di comunicazione e di marketing. Molti piloti e team potrebbero tentare esperienze all'estero, accrescendo anche le proprie opportunità economiche. Certamente il calendario sarebbe meno confuso, e sarebbe possibile evitare assurde sovrapposizioni di data con altri eventi (Vogliamo parlare delle gare organizzate in contemporanea su più circuiti italiani oppure nello stesso giorno di un qualsiasi GP di F1 con orario europeo? Qualcuno si è mai chiesto a cosa può pensare uno spettatore messo in condizione di dover scegliere?).
"Facile parlare" potrebbe essere la chiosa finale di un qualsiasi contro-argomento alle mie tesi. E ci sta, non ho mai organizzato un campionato. Però spero si possa capire la logica del mio intervento, che è più un invito a riflettere piuttosto che un'invasione di competenze.
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