Mattia, la tua carriera sembra più profonda di quanto non sia in realtà. E anche nell'atteggiamento dimostri maturità, nonostante tu non abbia ancora conseguito... la maturità scolastica, appunto.
"Sì, mi dicono in parecchi che sembro più maturo di molti coetanei. Il fatto che sono sempre in giro, che ho viaggiato e che ho continue trasferte mi ha dato l'opportunità di fare variegate esperienze. Anche linguisticamente mi aiuta il fatto di parlare molte volte in inglese con gli ingegneri. Sto studiando chimica e vado anche piuttosto bene a scuola nonostante il mio libretto dell'assenze sia ogni mese sempre più pieno... I professori però lo sanno e quindi sono giustificato. Anche questo mi aiuta a essere più rilassato..."
Nel 2016 festeggerai (il 16 luglio) il tuo 18° compleanno. Al di là di ciò, sarà un anno molto interessante per te: con il team Dinamic Motorsport andrai alla caccia del titolo nella Carrera Cup, oltre a fare qualche presenza nella Mobil 1 Supercup.
"L'obiettivo è vincere. Sembra una cosa ovvia, ma è ancor più vero dopo il terzo posto ottenuto lo scorso anno quando ero un rookie. Le aspettative mie sono alte sia per la sfida in Italia sia per quanto riguarda le prove singole che affronterò nella Supercup. In quest'ultima per altro il livello è ancora più alto, con piloti davvero espertissimi e distacchi tra le vetture molto ridotti. Nel 2015 a Monza c'erano venti piloti in un secondo, quindi la lotta è serratissima".
Sembra che per ora il sogno delle formule sia stato accantonato. Dopo un anno in F4 tutto sommato positivo, l'obiettivo Porsche è diventato l'unico esistente. Che cosa hanno in comune questi due mondi?
"Bèh, nelle formula devi sfruttare di più l'aerodinamica, portando più velocità in curva. E per abituarmi alla guida della F4 mi ci è voluto pochissimo. Nelle Porsche bisogna utilizzare al meglio la trazione e saper girare la macchina in curva vista la pesantezza. La bagarre è diversa, più libera se vogliamo. L'anno scorso nelle prime gare della Carrera Cup non è stato facile; nelle prime due gare avevo fatto un po' di errori e sembrava più complicato di quanto non fosse realmente. Alla fine però mi sono adattato bene e anche con meno esperienza i risultati sono arrivati".
Tuo padre, Luca Drudi, è stato grande protagonista nel mondo GT - celebri i suoi successi a Le Mans - e sicuramente è stato un fattore determinante per il tuo avvicinamento al motorsport. Papà è una presenza ingombrante nei weekend di gara?
"Io sono nato praticamente in mezzo ai motori, seguivo sempre mio padre ovunque correva e i miei primi ricordi d'infanzia sono legati a questo mondo. A volte la passione è un colpo di fulmine, nel mio caso invece l'ho acquisita cammin facendo. Vedi le auto, le senti, poi le provi... E tutto comincia. Mio padre mi aiuta molto, sia tecnicamente visto che ha tanta esperienza con le Porsche e con le GT in generale, sia dal punto di vista del morale. Tuttavia devo dire che fortunatamente non è uno di quei genitori che si intromettono o che devono dire la loro a ogni costo".
"Guardo tutto quello che mi capita, dalle quattro alle due ruote. Le gare endurance mi divertono molto e in fondo sono anche il mio obiettivo. Mentre le gare americane, che a vederle sono molto belle, non mi attraggono più di tanto. La F1 credo stia diventando un po' noiosa e i risultati dipendono troppo dalle macchine. I compagni di squadra arrivano spesso in coppia e non si capisce chi dei due ha più talento. Le regole sono molto complicate e cambiano per altro troppo spesso. Tra motori ibridi e controllo dei consumi stanno andando un po' fuori dalla retta via, e ormai per correrci servono vagonate di soldi".
Cosa ne pensi delle gare endurance, dove sono iscritte vetture con prestazioni molto diverse e dove si trovano sia professionisti sia gentlemen? In fondo è un ambiente che potresti vivere presto da vicino...
"Allora, un conto è se parliamo della 24 Ore di Le Mans, gara dove sono quasi tutti professionisti e tutte le vetture sono super prestazionali. Mentre invece in gare come la 24 Ore di Dubai ci sono macchine di estrazione davvero diversa, con 30 secondi di differenza in un circuito da quasi cinque chilometri. Le incomprensioni sono ancor più probabili con la presenza di un gentleman driver molto inesperto, ma non si può generalizzare. In fondo è anche grazie a loro se si sono tanti iscritti e con il loro contributo in sponsorizzazioni molti team possono andare avanti, non dimentichiamolo. Se poi le cose sono gestite in modo professionale non ci sono problemi".
L'essere stato inserito nel Programma Scholarship di Porsche Italia ti sta portando benefici?
"Senz'altro. Questa iniziativa è molto importante e a Padova, dove ci incontriamo, ho modo di imparare tanti dettagli utili per cominciare a costruire la mia carriera da professionista. Tra le tante attività dedichiamo anche del tempo alla gestione del rapporto con i media, una fase delicata che interessa molto ai team. Abbiamo ad esempio simulato delle interviste con domande scomode e commentato delle gare in inglese per migliorare la confidenza con la lingua. Molti potrebbero pensare che sia un addestramento per robot, ma secondo me la personalità di ognuno di noi salta comunque fuori, non c'è nessun obbligo formale".
Restando nell'ambito motorsport, cosa ne pensi - anche se detto da un blogger può far storcere il naso - di quel magma indistinto che si chiama Internet? In fondo sei un nativo digitale...
"Internet è un mezzo importante per farsi conoscere e dare notizie. Sui social media si possono fare molte attività utili per la propria carriera e tra queste c'è anche la gestione dei rapporti con i sostenitori, ad esempio. Questi sono i pro, mentre per i contro non si può fare molto. Ognuno può pensare quello che vuole, anche se talvolta i commenti vengono scritti da persone non presenti sui campi di gara. Internet in sostanza ti mette più in mostra e ti rende giudicabile; tutti leggono i miei stati e sanno dove corro. Molti si sentono autorizzati a scrivere, quando fino a pochi anni fa nessuno si sarebbe permesso di dire nulla senza aver visto con i propri occhi".
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